Segnaliamo una recente
sentenza della Corte di Cassazione Civile (Cass. Civ. Sez. lav., 30
giugno 2022, n. 20823) in tema di ripartizione degli oneri di
allegazione e di prova circa la responsabilità del datore di lavoro
derivante dalla violazione di norme antinfortunistiche.
Nel caso in esame, il giudice di primo grado, in accoglimento della
domanda avanzata da alcuni lavoratori inseriti nella filiera di
costruzione, manutenzione e ammodernamento di linee elettriche, ha
condannato la datrice di lavoro (E-distribuzione S.p.a., già Enel
Distribuzione S.p.a.) al “pagamento del danno biologico differenziale”
derivato ai suddetti dipendenti dall'espletamento (i) di rischiose
attività di lavoro, quali l'abituale utilizzo di strumenti ad aria
compressa e fonte di vibrazione e scuotimenti e (ii) di lavori in
altezze e getti per le fondamenta, installazione e sostituzione
trasformatori, realizzazione e manutenzione di linee sotterranee,
esecuzione di lavori in reperibilità e pronto intervento e conduzione
di mezzi meccanici.
La Corte di appello de L'Aquila, in riforma della decisione di primo
grado, ha respinto le domande dei lavoratori – condannandoli, tra
l’altro, a restituire quanto percepito in esecuzione della sentenza di
primo grado – sostenendo che i lavoratori avrebbero dovuto dimostrare
la sussistenza di specifiche omissioni datoriali nella predisposizione
delle misure di sicurezza suggerite dalla particolarità del lavoro,
dall'esperienza e dalla tecnica necessaria ad evitare il danno. Solo
ove tale prova fosse stata offerta, infatti, sarebbe sorto l’onere del
datore di lavoro di dimostrare di avere adottato le cautele necessarie
ad impedire il verificarsi del pregiudizio subito; tale onere,
tuttavia, non era stato in concreto assolto dai lavoratori.
La Corte di Cassazione, adita dai lavoratori dipendenti, accogliendo
il terzo motivo di ricorso ha censurato la decisione dei giudici
d’appello, poiché “frutto di un errore di diritto”: essa, infatti,
prescinde dai principi, pur correttamente evocati in sentenza, in tema
di distribuzione dell'onere della prova, “finendo con il porre a
carico dei lavoratori la dimostrazione della violazione, da parte del
datore di lavoro, di specifiche misure antinfortunistiche - anche
innominate - laddove essi erano tenuti solo a dimostrare il nesso di
causalità tra le mansioni espletate e la nocività dell'ambiente di
lavoro restando a carico del datore di lavoro la prova di avere
adottato tutte le misure (anche quelle cd. innominate) esigibili in
concreto”.
Secondo consolidata giurisprudenza di legittimità, infatti, l'art.
2087 c.c. (“Tutela delle condizioni di lavoro”) non configura
un'ipotesi di responsabilità oggettiva, in quanto “la responsabilità
del datore di lavoro - di natura contrattuale - va collegata alla
violazione degli obblighi di comportamento imposti da norme di legge o
suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento; ne
consegue che incombe al lavoratore
che lamenti di avere subito, a causa dell'attività lavorativa
svolta, un danno alla salute, l'onere di provare, oltre
all'esistenza di tale danno, la nocività dell'ambiente di
lavoro, nonché il nesso tra l'una e l'altra, e,
solo se il lavoratore abbia fornito tale prova, sussiste per il datore
di lavoro l'onere di provare di avere adottato tutte le cautele
necessarie ad impedire il verificarsi del danno”.
Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte di Cassazione
ha rinviato il giudizio alla Corte d’Appello de L’Aquila, in diversa
composizione, “per il riesame del materiale istruttorio e degli esiti
della prova, orale e documentale, alla luce del criterio di
ripartizione degli oneri probatori sopra richiamato”.
Decreto-legge 6 novembre 2021, n.
152
“Disposizioni urgenti per l’attuazione del Piano nazionale di
ripresa e resilienza (PNRR) e per la prevenzione delle infiltrazioni
mafiose.”
In data 6 novembre 2021 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale, Serie Generale n. 265, il Decreto-legge n. 152 che ha introdotto “Disposizioni urgenti per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e per la prevenzione delle infiltrazioni mafiose”, in vigore dal giorno successivo.
Si segnalano le seguenti disposizioni di maggiore rilievo:
Art. 18:
Riduzione dei tempi del procedimento di valutazione ambientale
strategica
È stata ridotto a quarantacinque giorni il lasso temporale entro cui
effettuare la consultazione di soggetti competenti in materia
ambientale, al fine di predisporre il rapporto ambientale. Inoltre, è
stato modificato, in eguale misura, il termine entro cui chiunque può
prendere visione delle proposte di piani relative al rapporto
ambientale.
Infine l’autorità competente dovrà effettuare la valutazione del
rapporto ambientale entro quarantacinque giorni.
Art. 28:
Servizio di collegamento delle imprese alla Piattaforma Digitale
Nazionale Dati
La disposizione in esame prevede che le Camera di Commercio metteranno
a disposizione delle imprese il servizio di collegamento telematico
con la Piattaforma Digitale Nazionale Dati, prevista dall’art. 50-ter
del D. lgs. n. 82/2005.
Tale piattaforma permetterà alle imprese di “effettuare controlli
automatizzati e di acquisire certificati relativi ai propri fatti,
stati e qualità”.
Art. 47:
Amministrazione giudiziaria e controllo giudiziario delle aziende
L’articolo modifica l’art. 34-bis del D. lgs. n. 159/2011 relativo al
controllo giudiziario delle aziende; in particolare, è stato previsto
che, nelle ipotesi in cui possano essere imposte misure amministrative
di prevenzione collaborativa ai sensi dell’art. 94-bis del sopra
citato Decreto, il Tribunale potrà valutare, in sostituzione
dell’applicazione delle citate misure, la nomina di un giudice
delegato o di un amministratore giudiziario, ai sensi del secondo
comma, lett. b) della disposizione in esame.
Inoltre, attraverso l’introduzione del nuovo comma 7 viene stabilito
che il provvedimento che dispone o l’amministrazione giudiziaria, ai
sensi dell’art. 34, oppure il controllo giudiziario ai sensi dell’art.
34-bis, sospende sia il termine per il rilascio delle informazioni
stabilito dall’ art. 92 del D. lgs. n. 159/2011 sia gli effetti delle
informazioni del Prefetto, previsti dall’art. 94 del medesimo Decreto.
Art. 48:
Contraddittorio nel procedimento di rilascio dell’interdittiva
antimafia
Sono stati introdotti nuovi commi all’art. 92 del D. lgs. n. 159/2011,
i quali prevedono che qualora il Prefetto, pur ritenendo sussistenti i
requisiti per l’emanazione di un’interdittiva antimafia o per
l’attuazione delle misure amministrative di prevenzione collaborativa,
non riscontri particolari esigenze di celerità, invierà una
comunicazione ai soggetti interessati, indicando gli elementi
sintomatici. Con tale comunicazione verrà assegnato un termine,
non superiore a venti giorni, entro cui i soggetti interessati
potranno presentare osservazioni scritte e documenti, o richiedere
l’audizione.
Egualmente, in sede di audizione personale, il Prefetto avrà facoltà
di invitare i soggetti interessati a produrre ogni informazione
ritenuta utile, allegando anche documenti.
Al termine della sopra descritta fase di contraddittorio fra le parti,
il Prefetto potrà applicare le misure amministrative di prevenzione
collaborativa previste dall’art. 94- bis del D. lgs. n. 159/2011
oppure adottare l’informativa antimafia interdittiva.
Art. 49:
Prevenzione collaborativa
L’articolo introduce nel D. lgs. n. 159/11 il nuovo art. 94-bis,
intitolato “Misure amministrative di prevenzione collaborativa
applicabili in caso di agevolazione occasionale”, ai sensi del quale:
“1. Il prefetto, quando accerta che i tentativi di infiltrazione
mafiosa sono riconducibili a situazioni di agevolazione
occasionale, prescrive all'impresa, società o associazione
interessata, con provvedimento motivato, l'osservanza, per un periodo
non inferiore a sei mesi e non superiore a dodici mesi, di una o più
delle seguenti misure:
a) adottare ed efficacemente attuare misure organizzative, anche ai
sensi degli articoli 6, 7 e 24-ter del decreto legislativo 8 giugno
2001, n. 231, atte a rimuovere e prevenire le cause di agevolazione
occasionale;
b) comunicare al gruppo interforze
istituito presso la prefettura competente per
il luogo di sede legale o di residenza, entro quindici giorni dal loro
compimento, gli atti di disposizione, di acquisto o di
pagamento effettuati, gli atti di
pagamento ricevuti, gli incarichi professionali conferiti, di
amministrazione o di gestione fiduciaria ricevuti, di valore non
inferiore a 7.000 euro o di valore superiore stabilito dal
prefetto, sentito il predetto gruppo interforze,
in relazione al reddito della
persona o del patrimonio e del volume di affari
dell'impresa;
c) per le società di capitali o di persone, comunicare al gruppo
interforze eventuali forme di finanziamento da parte dei soci o di
terzi;
d) comunicare al gruppo interforze i contratti di associazione in
partecipazione stipulati;
e) utilizzare un conto corrente dedicato, anche in via non esclusiva,
per gli atti di pagamento e riscossione di cui alla lettera b), nonché
per i finanziamenti di cui alla lettera c), osservando, per i
pagamenti previsti dall'articolo 3, comma 2, della legge 13 agosto
2010, n. 136, le modalità indicate nella stessa norma.
2. Il prefetto, in aggiunta alle misure di cui al comma 1, può
nominare, anche d'ufficio, uno o più esperti, in numero comunque non
superiore a tre, individuati nell'albo di cui all'articolo 35, comma.
2-bis, con il compito di svolgere funzioni di supporto finalizzate
all'attuazione delle misure di prevenzione collaborativa.
Agli esperti di cui al primo periodo spetta un compenso, quantificato
con il decreto di nomina, non superiore al 50 per cento di quello
liquidabile sulla base dei criteri stabiliti dal decreto di cui
all'articolo 8 del decreto legislativo 4 febbraio 2010, n.
14. Gli oneri relativi al pagamento di tale compenso sono a
carico dell'impresa, società o associazione.
3. Le misure di cui al presente articolo cessano di essere applicate
se il tribunale dispone il controllo giudiziario di cui all'articolo
34-bis, comma 2, lettera b). Del periodo di loro esecuzione può
tenersi conto ai fini della determinazione della durata del controllo
giudiziario.
4. Alla scadenza del termine di durata delle misure di cui al presente
articolo, il prefetto, ove accerti, sulla base delle analisi formulate
dal gruppo interforze, il venir meno dell'agevolazione occasionale e
l'assenza di altri tentativi di infiltrazione mafiosa, rilascia
un'informazione antimafia liberatoria ed
effettua le conseguenti iscrizioni nella banca dati
nazionale unica della documentazione antimafia.
5. Le misure di cui al presente articolo sono annotate in un'apposita
sezione della banca dati di cui all'articolo 96, a cui è precluso
l'accesso ai soggetti privati sottoscrittori di accordi conclusi ai
sensi dell'articolo 83-bis, e sono comunicate dal prefetto alla
cancelleria del Tribunale competente per l'applicazione delle misure
di prevenzione.”
Art. 50:
Abrogazioni
È stato abrogato l’art. 194-bis del D. lgs. n. 152/2006 (TU Ambiente)
relativo alle procedure semplificate per il recupero dei contributi
dovuti per il SISTRI.
Processo Costituzionale Telematico: dal
3 dicembre 2021, i giudizi innanzi alla Corte Costituzionale si
svolgeranno in “modalità telematica”
A seguito della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del 3 novembre
2021, n. 262, della delibera della Corte Costituzionale del 22 luglio
2021 - contenente norme integrative per i giudizi davanti alla Corte
Costituzionale - e del decreto del Presidente della Corte
costituzionale del 28 ottobre 2021 - recante le regole tecniche per
l’attuazione del processo costituzionale telematico, sarà attivo dal 3
dicembre il Sistema e-Cost, ovverosia una piattaforma informatica,
raggiungibile all’indirizzo https://ecost.cortecostituzionale.it
per il deposito e lo scambio in modalità telematica degli atti
riguardanti i giudizi davanti alla Corte costituzionale. La
piattaforma e-Cost consentirà il deposito e lo scambio degli atti in
formato digitale alle autorità giurisdizionali e ai soggetti che hanno
titolo a promuovere giudizi, a costituirsi o a intervenire davanti
alla Corte costituzionale, nonché agli avvocati del libero Foro e
dell’Avvocatura erariale.
Legge 21 ottobre 2021, n. 147 di conversione, con modificazioni, del
D. l. 24 agosto 2021, n. 118 recante misure urgenti in materia di
crisi
È stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 254 del 23 ottobre la
legge 21 ottobre 2021, n. 147, di conversione, con modificazioni, del
D. l. 24 agosto 2021, n. 118, recante «Misure urgenti in materia di
crisi d'impresa e di risanamento aziendale, nonché ulteriori misure
urgenti in materia di giustizia».
Si riportano di seguito le principali novità introdotte in sede di
conversione, rinviando per ogni dettaglio alla consultazione della
legge, entrata in vigore il 24 ottobre 2021.
- Differimento dell’entrata in vigore del Codice della crisi d’impresa: il Codice della Crisi d’Impresa entrerà in vigore a partire dal 16 maggio 2022, fatta eccezione per il Titolo II della Parte prima (concernente le procedure di allerta e di composizione assistita della crisi) per il quale l’entrata in vigore è posticipata al 31 dicembre 2023.
-
Proroga del termine per la nomina degli organi di controllo nelle
società a responsabilità limitata e nelle società cooperative:
l’art. 1-bis, introdotto dalla legge di conversione, proroga alla data
di approvazione dei bilanci relativi all’esercizio 2022 il termine per
procedere alla prima nomina del revisore o degli organi di controllo
da parte di talune società a responsabilità limitata e società
cooperative.
- Composizione negoziata: si tratta di un nuovo
istituto, disciplinato dagli articoli da 2 a 9, il cui obiettivo è
quello di superare la situazione di squilibrio dell’impresa prima che
si arrivi all’insolvenza.
Di
seguito il link per la consultazione dell’integrale testo di
Legge: (LINK)
Decreto del Ministero del Lavoro e delle
Politiche Sociali, 25 giugno 2021, n. 143
Ai sensi del D.M. n. 143/2021 (che attua l’articolo 8, comma 10-bis,
del Decreto Semplificazioni - D.L. n. 76/2020 e recepisce quanto
definito dalle Parti Sociali del settore edile con l’Accordo
collettivo del 10 settembre 2020), a partire dal 1° novembre 2021
entra in vigore l’obbligo di presentare (anche) il Documento Unico di
Regolarità Contributiva (DURC) di Congruità per le imprese la cui
attività rientra nel settore edile, comprese quelle affini,
direttamente e funzionalmente connesse all'attività resa dall'impresa
affidataria dei lavori, per le quali trova applicazione la
contrattazione collettiva edile, nazionale e territoriale.
In particolare, il DURC di Congruità - che dovrà essere richiesto alla
Cassa Edile territorialmente competente per i lavori edili per i quali
si è effettuata la denuncia di inizio lavori - garantirà l’avvenuta
verifica dell’incidenza della manodopera impiegata nella realizzazione
di lavori edili mediante un confronto tra il costo del lavoro
sostenuto e gli indici minimi di congruità riferiti alle singole
categorie di lavori.
Presidenza del Consiglio dei Ministri,
Dipartimento della Funzione pubblica
Decreto 12 agosto 2021, n. 148 recante “Regolamento recante modalità
di digitalizzazione delle procedure dei contratti pubblici, da
adottare ai sensi dell’articolo 44 del decreto legislativo 18 aprile
2016, n. 50”
È stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 256 del 26 ottobre 2021
il Decreto 148/2021, in attuazione della previsione di cui all’art.
44, comma 1, del Codice dei Contratti, che prevedeva l’adozione -
entro un anno dall’entrata in vigore del medesimo Codice dei Contratti
- di un decreto volto alla individuazione delle modalità di
digitalizzazione delle procedure di tutti i contratti pubblici, anche
attraverso l’interconnessione dei dati di più e diverse pubbliche
amministrazioni.
Il Decreto, che è costituito da 27 articoli, entrerà compiutamente a
regime solo dopo che tutte le stazioni appaltanti avranno adeguato i
propri sistemi telematici entro sei mesi dall’adozione delle linee
guida di cui all’art. 2, comma 2, del Decreto stesso.
Con il nuovo sistema informatico introdotto sarà possibile gestire
digitalmente ogni procedura di gara nonché tutte le attività connesse
e dipendenti (deleghe per la procedura, conservare documentazione di
gara, presentare istanze di accesso agli atti di gara, effettuare
pagamenti telematici alle pubbliche amministrazioni).
Di
seguito il link per la consultazione del testo integrale del
Decreto: (LINK)
Ministero delle Infrastrutture e dalla
Mobilità Sostenibile
Parere n. 998 del 13 agosto 2021
Con il parere del 13 agosto 2021 n. 998, il MIMS ha fornito
chiarimenti in ordine alla disciplina del subappalto, la quale è stata
riformulata dal D.L. n. 77 del 2021, così come convertito nella legge
n. 108 del 2021, che ha previsto dal 1° novembre 2021 la soppressione
di una soglia rigida di prestazioni subappaltabili in favore di una
determinata “in ragione delle specifiche caratteristiche
dell’appalto”.
In particolare, è stato chiesto al MIMS se, in vigenza del nuovo
quadro legale, sia possibile per la pubblica amministrazione
precludere integralmente alle imprese la facoltà di ricorrere al
subappalto. Il Ministero rammenta che, in coerenza con il principio di
divieto di cessione dell’appalto, la stazione appaltante dovrà
individuare le prestazioni “da eseguire direttamente a cura
dell’aggiudicatario”; pertanto, l’eventuale divieto integrale di
ricorso al subappalto dovrà essere, per il MIMS, “previsto nei
documenti di gara e dovrà essere adeguatamente motivato”.
Ministero delle Infrastrutture e dalla
Mobilità sostenibile
Decreto 30 settembre 2021
È stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 258 del 28 ottobre 2021
il decreto MIMS del 30 settembre 2021 che ha previsto una suddivisione
in parti uguali - tra piccole, medie e grandi imprese - del
fondo di 100 milioni stanziato per la compensazione del caro
materiali.
Le imprese – ai sensi dell’art. 1, comma 2 – potranno concorrere alla
distribuzione delle risorse “esclusivamente in ragione della propria
qualificazione ai sensi della parte II, titolo III, del decreto del
Presidente della Repubblica n. 207/2010”: ciò significa che bisognerà
tenere conto della qualificazione SOA posseduta dall’istante per la
relativa classificazione come piccola, media o grande impresa, a nulla
rilevando il valore del contratto sottoscritto.
Si tratta, tuttavia, soltanto il primo dei due decreti attuativi
previsti dall’art. 1 septies della Legge 23 luglio 2021, n. 106, di
conversione del D.L. 25 maggio 2021, n. 73 c.d. “Decreto Sostegni
bis”, rubricato “Disposizioni urgenti in materia di revisione dei
prezzi dei materiali negli appalti pubblici”.
Infatti, perché possa essere completato l’iter attuativo del
meccanismo di accesso alla compensazione – che si riferisce ai soli
contratti in corso di esecuzione alla data del 25 luglio 2021 e per le
sole variazioni percentuali (maggiori dell’8%) in aumento o in
diminuzione del costo dei materiali da costruzione verificatesi nel
primo semestre 2021 – si resta in attesa dell’adozione del c.d.
“Decreto MIMS variazioni”, dal quale decorrerà il termine decadenziale
di 15 giorni per la presentazione delle istanze di compensazione da
parte delle imprese.
ANAC
Comunicato 25 ottobre 2021
In data 25 ottobre 2021 l’ANAC ha reso nota l’apertura di una
consultazione pubblica in vista dell’aggiornamento delle Linee Guida
n. 9 relative al partenariato pubblico- privato.
Preso atto dell’utilizzo esiguo di tale strumento, in particolare per
quando concerne gli affidamenti di importo inferiore a un milione di
euro, l’Autorità ha inteso avviare la suddetta consultazione, per
comprendere in particolare l’effettivo utilizzo della matrice dei
rischi.
L’invio dei contributi dovrà essere effettuato entro il 13 dicembre
2021, adoperando l’apposito modulo fornito.
Il giudizio di congruità di un’offerta non può essere integralmente
sostituito da una verificazione
Il Consiglio di Stato, con la sentenza Sez. VI, sentenza 28 settembre
2021, n. 6533, si è pronunciato riguardo ad un caso in cui il giudizio
di congruità di un’offerta è stato oggetto “di una attività di
verificazione nella sostanza completamente sostitutiva di quella
svolta dalla stazione appaltante”.
Il collegio, dopo aver ricordato che la valutazione di congruità di
un’offerta “può formare oggetto di sindacato giurisdizionale
limitatamente ai casi di manifesta illogicità, irragionevolezza,
irrazionalità, arbitrarietà e/o travisamento di fatti”, ritiene che la
verificazione, in quanto strumento a valenza probatoria, non sia
idonea a mettere in discussione “il giudizio valutativo spettante
all’amministrazione procedente”.
Inoltre, la sostituzione del giudizio espresso dalla stazione
appaltante in favore di quello compiuto dal verificatore non si
concilia con la natura della valutazione di congruità, la quale si
basa su di un confronto fra amministrazione e impresa, assente
nell’attività di verificazione.
Il limite di aggiudicazione dei lotti va
“allargato” all’unico centro decisionale
Il Consiglio di Stato, con la sentenza Sez. V, sentenza 27 settembre
2021, n. 6481, pur non ignorando la più recente giurisprudenza che,
sul punto, ha assunto un opposto orientamento restrittivo – ritiene
che nel caso di appalto suddiviso in lotti è naturalmente ammessa la
presentazione di un’offerta da parte di operatori economici anche
riconducibili ad un unico centro decisionale, purché detta
partecipazione non risulti riferita al medesimo lotto, ma a lotti
distinti.
Ne discende, allora, che tutte le volte in cui la stazione appaltante
ritenga di limitare il numero di lotti che possono essere aggiudicati
ad un solo offerente, l’offerta che viene valutata dalla stessa
stazione appaltante come imputabile ad un unico centro decisionale
(pur essendo stata formulata da operatori diversi di uno stesso gruppo
societario) debba essere parimenti considerata unica, in quanto
imputabile ad un “solo offerente” sostanziale.
Ai fini della continuità del possesso
dell’attestazione SOA, è sufficiente che l’Operatore dia prova di
essersi attivato per ottenerne il rinnovo entro il termine di cui
all’art. 76, comma 5, D.P.R. 207/2010
Il T.A.R. Toscana, con sentenza della Sez. II, 29 settembre
2021, n. 1232, ha confermato il recente indirizzo giurisprudenziale
fissato dal Consiglio di Stato (cfr. Cons. Stato, sez. V, n.
7178/2020) circa la sussistenza di una “equivalenza”, ai fini della
garanzia di continuità della attestazione SOA ai sensi dell’art. 76,
comma 5, del DPR n. 207 del 2010, tra “l’aver stipulato il contratto
per il rinnovo con la società di attestazione, con l’essersi attivato
da parte dell’operatore economico per ottenere il rinnovo stesso”.
Ad avviso del Collegio, infatti, la previsione dell’art. 76, comma 5,
cit. - a mente della quale “almeno novanta giorni prima della
scadenza del termine, l'impresa che intende conseguire il rinnovo
dell'attestazione deve stipulare un nuovo contratto con la medesima
SOA o con un'altra autorizzata all'esercizio dell'attività di
attestazione” - deve intendersi nel senso che, “ferma restando
la presenza del termine decadenziale di novanta giorni”, l’Operatore
economico può assicurare la continuità del possesso del requisito SOA
provando di “essersi attivato […] nel suddetto termine, avviando
contatti con la SOA aventi esplicito significato di richiedere e
portare avanti il procedimento di rinnovo dell’attestazione in
scadenza”.
La falsa dichiarazione sull’assenza di
contenziosi pendenti con la Committente come legittima causa di
esclusione anche se a carico del precedente amministratore
Il T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II-bis, con sentenza 28 settembre 2021 n.
9988 si è pronunciato sulla legittimità dell’esclusione dell’operatore
economico, proposto come aggiudicatario, che, a seguito dei controlli
di cui all’art. 32, commi 5 e 7, del D.lgs. 50/2016, risultava non
aver ottemperato all’obbligo dichiarativo relativo ai contenziosi
pendenti nei confronti della Committente.
In particolare, l’impresa aveva omesso di dichiarare i procedimenti
penali in corso relativi a innovazioni, opere abusive e occupazioni
senza titolo del demanio marittimo ritenendo tali fatti irrilevanti in
quanto, poiché le vicende penali riguardano le persone fisiche,
dovevano essere imputate soltanto al precedente amministratore.
Il T.A.R. ritenendo che l’impresa, in quanto persona giuridica, possa
operare solo attraverso i propri organi ha chiarito che le condotte
del pregresso amministratore non potessero che essere addebitate alla
ricorrente e ha ritenuto legittima l’esclusione avendo la non
veridicità di quanto affermato da parte ricorrente pregiudicato il
rapporto di fiducia che deve necessariamente intercorrere tra la
stazione appaltante e il proprio operatore economico.
L’operatore
economico non può essere escluso per un debito tributario non
definitivo
Il T.A.R. Puglia, con sentenza della Sez. II, 22 settembre 2021, n.
1377, si è pronunciato in merito all’esclusione di un operatore
economico da una procedura di gara ai sensi dell’art. 80, comma 4 del
D.lgs. n. 50/2016 per un debito tributario non definitivo, di importo
superiore a 5.000 euro. Con apposito ricorso l’operatore economico
aveva contestato l’insussistenza della causa di esclusione stante il
mancato accertamento, da parte dell’Amministrazione tributaria, del
summenzionato debito.
In merito, il T.A.R. ha osservato che, come comprovato dalle
risultanze documentali, il debito tributario risultava unicamente da
un “Processo Verbale di Contestazione (PVC) della Guardia di Finanza”;
pertanto, il debito contestato non risultava in alcun modo accertato,
ma veniva in rilievo solamente da un atto avente natura
endoprocedimentale.
Inoltre, il Tar ha affermato che non può ritenersi in alcun modo
fonte di accertamento il fatto che l’operatore economico abbia
presentato domanda di accertamento con adesione a seguito della
ricezione del processo verbale di contestazione.
Infatti, il Tar ha affermato che nelle ipotesi in cui
l’Amministrazione tributaria non sia ancora giunta al definitivo
accertamento, “l’obbligazione tributaria non è ancora sorta”, pertanto
neppure la posizione debitoria dell’operatore economico, giustificante
l’esclusione.
Decreto Legge
10 settembre 2021, n. 121
“Disposizioni urgenti in materia di investimenti e sicurezza
delle infrastrutture dei trasporti e della circolazione
stradale, per la funzionalità del Ministero delle infrastrutture
e della mobilità sostenibili, del Consiglio superiore dei lavori
pubblici e dell’Agenzia nazionale per la sicurezza delle
infrastrutture stradali e autostradali”.
In data 11 settembre 2021 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale, Serie Generale n. 217, il Decreto-legge del 10 settembre 2021 n. 121, il quale, all’articolo 2, primo comma ha disposto la proroga al 31 dicembre 2021 del termine entro cui dovrà essere perfezionato, da parte dei Concedenti, l’aggiornamento dei Piani economici finanziari presentati dai concessionari autostradali entro il 30 marzo 2020 ai sensi dell’art. 13, comma 3 del d. l. n. 162/2019.
Inoltre, il secondo comma del citato articolo 2 stabilisce che, in considerazione delle difficoltà economiche derivanti dall’emergenza epidemiologica, “è prorogata di due anni la durata delle concessioni in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto, relative ai servizi di distribuzione di carbolubrificanti e ai servizi di ristoro sulla rete autostradale”.
Tuttavia tale proroga “non si applica in presenza di procedure di evidenza pubblica finalizzate al nuovo affidamento delle concessioni di cui al primo periodo e già definite con l’aggiudicazione alla data di entrata in vigore del presente decreto”.
MIMS: Decreto Ministeriale n. 312/2021
Pubblicato il nuovo decreto “BIM” per gli appalti pubblici.
Lo scorso 3 agosto 2021 è entrato in vigore il nuovo D.M. n. 312
del 02.08.2021 che modifica e aggiorna il cosiddetto “Decreto BIM”
(Decreto del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti,
1.12.2017, n. 560), che stabilisce le modalità e i tempi di
progressiva introduzione dei metodi e degli strumenti elettronici
di modellazione per l’edilizia e le infrastrutture.
In particolare, il provvedimento individua i criteri premiali
richiamati dal recente Decreto Semplificazioni n. 77/2021 ed
integra il precedente decreto BIM con le regole e specifiche
tecniche per l'utilizzo del BIM, aggiornandone la tempistica di
obbligatorietà e fornendo alcune definizioni e termini in base
all’evoluzione che l’argomento ha avuto dal 2017 ad oggi.
Per quanto riguarda i punteggi premiali, l’articolo 7-bis
disciplina le ipotesi in cui le stazioni appaltanti possono
introdurre, nell’ambito dei criteri di aggiudicazione
dell’offerta, punteggi premiali per l’uso di metodi e strumenti
elettronici specifici.
Per quanto riguarda la tempistica di introduzione obbligatoria dei
metodi e strumenti elettronici di modellazione per l’edilizia e le
infrastrutture, l’obbligatorietà del BIM viene imposta
esclusivamente sopra la soglia di un milione di Euro, con le nuove
scadenze che tengono conto delle diverse tipologie di opere ed
interventi nonché della particolarità delle manutenzioni.
Di seguito il link per la
consultazione integrale del testo del Decreto: LINK
ANAC: Delibera n. 576
Contratti pubblici: la proroga tecnica reiterata viola i
principi comunitari di libera concorrenza.
In data 6 settembre 2021 è stata pubblicata nel sito istituzionale
dell’ANAC la delibera n. 576 nella quale è stata ribadita la
temporaneità ed eccezionalità della proroga dei contratti
pubblici.
In particolare l’Autorità ha esplicitato la seguente massima: “La
proroga dei contratti pubblici cd. Tecnica, ovvero quella diretta
a consentire la mera prosecuzione del rapporto contrattuale in
corso, nelle more dell’espletamento di una nuova procedura di
gara, ha carattere eccezionale e di temporaneità, essendo uno
strumento volto esclusivamente ad assicurare una data prestazione
in favore della pubblica amministrazione, nel passaggio da un
regime contrattuale ad un altro. L’utilizzo reiterato della
proroga tecnica, che si traduce in una fattispecie di affidamento
senza gara, comporta la violazione dei principi comunitari di
libera concorrenza e parità di trattamento, enunciati dall’art. 2
comma 1 del d. lgs. n. 163/2006, oggi art. 30 comma 1 del d.lgs.
n. 50/2016”.
Di seguito il link per la
consultazione integrale del testo della delibera: LINK
La stazione appaltante deve corrispondere il prezzo pattuito contrattualmente per le opere eseguite relative ad un appalto di servizi a carattere continuativo, anche nelle ipotesi in cui receda dalla convenzione contrattuale a causa dell’emanazione di un’interdittiva antimafia - Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, sentenza 6 agosto 2021, n. 14.
Il
C.G.A. ha richiesto all’Adunanza Plenaria di pronunciarsi in
merito alla corretta individuazione della quantificazione del
valore delle opere che le stazioni appaltanti sono tenute a
corrispondere nei casi in cui recedano dai contratti di appalto,
caratterizzati da prestazioni standardizzate, omogenee, ripetitive
e continuative, a seguito della emanazione di una interdittiva
prefettizia antimafia nei confronti dell’aggiudicatario.
In particolare, è stato domandato se il valore da corrispondere
dovesse attenersi unicamente al prezzo dedotto nel contratto,
oppure esso dovesse essere rivalutato, applicando il criterio
della revisione dei prezzi.
L’Adunanza Plenaria, in primo luogo, ha ricordato come secondo il consolidato principio generale a seguito dell’emanazione di un’interdittiva antimafia il soggetto non può ottenere “qualunque tipo di esborso” da parte della Pubblica Amministrazione: tuttavia gli art. 92, comma 3 e 94, comma 2 del d. lgs. n. 159/2011 eccezionalmente “prevedono testualmente che i soggetti di cui all’art. 83 revocano le autorizzazioni o le concessioni o recedono dai contratti fatto salvo il pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite”, pertanto, nel caso di specie, risulta indubbia la doverosità della corresponsione del prezzo dell’appalto.
In merito alla quantificazione del valore, l’Adunanza Plenaria ha chiarito come esso coincida con il prezzo contrattuale dei servizi effettuati: tale valore dovrà corrispondere al compenso revisionato, in quanto l’integrazione revisionale costituisce un “fattore integrativo del corrispettivo contrattuale”.
Infine,
l’Adunanza Plenaria ha statuito i seguenti principi di diritto:
“a) negli appalti pubblici di servizi aggiudicati a seguito di una
procedura di evidenza pubblica, aventi ad oggetto prestazioni
periodiche o continuative connotate da standardizzazione,
omogeneità e ripetitività, il “valore delle prestazioni già
eseguite”, da pagarsi all’esecutore nei limiti delle utilità
conseguite dalla stazione appaltante, in caso di interdittiva
antimafia, ai sensi e per gli effetti degli artt. 92, co.3 e 94,
co.2 del d. lgs. n. 159/2011, corrisponde al prezzo contrattuale
pattuito dalle parti, salva la possibilità di prova contraria da
parte della stazione appaltante che esercita il recesso;
b) nella determinazione del valore-prezzo degli appalti i servizi
da pagarsi per le prestazioni già eseguite, ai sensi e per gli
effetti degli artt. 92, co.3 e 94, co.2 del d.lgs. n. 159/2011,
deve intendersi compresa anche la somma risultate
dall’applicazione del procedimento obbligatorio di revisione dei
prezzi di cui all’art. 115 d.lgs. n. 163/2006”.
Interpretazione restrittiva dell’art.
213, comma 13, D.Lgs. 50/2016 - T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I,
sentenza 30 agosto 2021, n. 9421.
Con la sentenza in esame il TAR si è pronunciato sull’estensione
dei poteri sanzionatori dell’ANAC in ipotesi di false e/o omesse
dichiarazioni, distinguendo tra le omissioni dichiarative
suscettibili di rientrare nell’ambito applicativo dell’art. 80
D.lgs. 50/2016 e quelle riferibili al potere di annotazione
dell’Autorità, di cui all’art. 213, comma 13, del D.Lgs. n.
50/2016.
Con riferimento a tale ultima disposizione, precisa il TAR, “deve
essere prescelta un’interpretazione restrittiva, in quanto la
segnalazione comporta l’apertura di un procedimento finalizzato
all’applicazione della misura interdittiva dalla partecipazione
alle pubbliche gare, con effetti general-preventivi
pregiudizievoli anche più di quelli prodotti da una sanzione vera
e propria”.
Ne consegue che, ai fini dell’irrogazione delle sanzioni, devono
ritenersi rilevanti esclusivamente le condotte espressamente
previste dalla disposizione in esame, ovvero l’omissione di
informazioni espressamene richieste dalla stazione appaltante e le
false dichiarazioni.
In ragione di ciò, nel caso all’esame non è stata ritenuta
configurabile alcuna delle fattispecie contemplate dalla citata
disposizione, in quanto la ricorrente - pur avendo omesso
informazioni rilevanti per l’ammissione della stessa alla gara -
non aveva “letteralmente” rifiutato di fornire le informazioni al
riguardo richieste, né positivamente reso dichiarazioni false.
Tale condotta avrebbe potuto, al più, dar luogo ad un
provvedimento escludente ai sensi dell’art. 80 D.Lgs. 50/2016.
Mancata
allegazione del Computo Metrico Estimativo tra i documenti di
offerta di un appalto “a corpo”: legittima l’esclusione del
concorrente.
Con la sentenza in commento, il
Consiglio di Stato ha confermato la legittimità del provvedimento
di esclusione dalla procedura di gara di un concorrente per
incompletezza della documentazione economica richiesta dalla lex
specialis, rilevando, nella specie, che il prescritto Computo
Metrico allegato dall’Impresa all’offerta economica non era
“Estimativo” (come richiesto dal Bando) in quanto non riportava né
gli importi unitari per ciascuna lavorazione né l’importo totale,
risultando perciò in contrasto con il disciplinare di gara.
In risposta alle censure mosse dall’operatore - ad avviso del
quale, trattandosi nella fattispecie di appalto c.d. “a corpo”, il
computo metrico estimativo sarebbe risultato irrilevante ai fini
della determinazione dell’offerta e dunque, in caso di mancata
allegazione, non avrebbe potuto giustificare alcuna esclusione -
il Consiglio di Stato ha chiarito che, in ossequio alle previsioni
del disciplinare, “il computo metrico estimativo può ben
considerarsi un elemento che, pur in presenza di un appalto a
corpo, può rientrare ragionevolmente fra i documenti d’offerta”.
Tale statuizione trova conferma nella peculiare funzione
riconosciuta al Computo Metrico quale parte integrante del
documento di offerta, ovverosia quale “strumento di apprezzamento
– sotto il profilo economico, muovendo da quello tecnico – delle
migliorie proposte dal concorrente, rispetto alle quali il
documento vale a porre un collegamento fra i profili tecnici ed
economici che la stazione appaltante può ben avere interesse ad
apprezzare, anche in assenza di un puntuale criterio valutativo di
riferimento”. (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 20 agosto
2021, n. 5959)
Sulla rilevanza del decreto di rinvio a giudizio ai fini delle
valutazioni di affidabilità del concorrente da parte della Stazione
Appaltante.
Con la sentenza in commento il
Consiglio di Stato ha chiarito l’ampiezza dei limiti della
discrezionalità della Stazione Appaltante nella valutazione della
rilevanza e della gravità dei fatti idonei ad essere causa di
esclusione di cui all’art. 80, comma 5, lett. c), del D.lgs. n.
50/2016. In particolare, il Collegio ha ritenuto legittimo il
provvedimento di esclusione dell’operatore economico determinato
dal rinvio a giudizio per fatti di grave rilevanza penale disposto
a carico dell’amministratore della società interessata.
Tale discrezionalità si estende, inoltre, ai sensi dell'art. 80,
comma 8, anche alla valutazione in merito all’idoneità delle
misure di self cleaning adottate dall’operatore economico
concorrente. A tal proposito, il Collegio ha richiamato
l’orientamento giurisprudenziale per cui le misure poste in essere
allo scopo di evitare la sanzione espulsiva e di dare prova del
superamento delle criticità che avevano minato l'affidabilità
dell'operatore possono operare solo per le future gare. (Consiglio
di Stato, Sez. III, sentenza 11 agosto 2021, n. 5852)
Nei casi di project financing, la mancanza di un requisito del
proponente non può essere sanata dalla successiva costituzione della
società di progetto.
Nel caso esaminato dal Consiglio di
Stato l’operatore economico “proponente” - costituendo di fatto il
soggetto al quale far riferimento per tutte le verifiche di legge
– non può provare il possesso dei requisiti prescritti dall’art.
183, comma 8, del D.lgs. 50/2016 facendo propri i dati del
fatturato dei soci della società “non essendo stato costituito
allo scopo un raggruppamento temporaneo o consorzio, ed essendo la
società a responsabilità limitata qualificabile come ordinario
operatore economico, nel cui bilancio, autonomo rispetto a quello
dei soci, non confluiscono i bilanci delle società partecipanti,
con conseguente impossibilità per la stessa di usufruire dei
requisiti necessari alla qualificazione richiesti dalla lex
specialis”.
In altri termini, l’espressione “anche associando” utilizzata dal
legislatore nel comma 8 dell’art. 183 del D.lgs. n. 50 del 2016
con riferimento ai soggetti ammessi alla procedura, non può
intendersi – in assenza di un’espressa indicazione del legislatore
stesso – come suscettibile di derogare alle tipologie aggregative
già previste dal Codice dei contratti pubblici in materia di
affidamenti, in presenza delle quali è consentito ai soggetti
raggruppati, in particolari condizioni, di cumulare i requisiti
individuali ai fini della partecipazione.
L’originaria carenza in capo alla società proponente dei requisiti
previsti per la partecipazione alla procedura non potrà pertanto
essere superata dalla successiva costituzione della società di
progetto dopo l’aggiudicazione, includendovi dei nuovi e diversi
soggetti dotati dei requisiti richiesti. (Consiglio di Stato, Sez.
V, sentenza 10 agosto 2021, n. 5840).
Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili (MIMS)
Linee Guida per la redazione del progetto di fattibilità tecnica ed economica (PFTE) da porre a base dell’affidamento di contratti pubblici di lavori del PNRR e del PNC.
Il
MIMS ha pubblicato le Linee Guida per la definizione del contenuto
essenziale dei documenti, degli eventuali modelli informativi
digitali e degli elaborati occorrenti alle Stazioni Appaltanti per
l’affidamento di contratti pubblici sulla base del Piano di
Fattibilità Tecnica ed Economica, secondo quanto stabilito
dall’art. 48, comma 7, terzo periodo del D.L. n. 77/2021 (c.d.
semplificazioni).
In particolare, le Linee Guida definiscono i contenuti essenziali
del PFTE con riferimento a quanto disciplinato dall’articolo 23,
commi 5 e 6 del Codice dei Contratti (D. Lgs. n. 50/2016) e, su
base facoltativa, dal comma 13 del citato articolo (“metodi e
strumenti elettronici”), nonché dalle disposizioni di
semplificazione e accelerazione introdotte dal richiamato D.L. n.
77/2021, con particolare riferimento alla connessione tra
procedure di affidamento delle opere basate sul PFTE e iter
autorizzativo delle opere.
Qui di seguito il link per la consultazione del Documento:
https://www.mit.gov.it/sites/default/files/media/notizia/2021-08/Linee%20Guida%20PFTE.pdf
ANAC
Comunicato del Presidente del 5 maggio 2021 “Nuova funzionalità
per la ricerca delle attestazioni di qualificazione per l’esecuzione
dei lavori pubblici di importo superiore a 150.000,00 euro,
rilasciate alle imprese dagli Organismi di attestazione – SOA”.
L'ANAC, nell’ottica di fornire strumenti sempre più efficaci di
supporto e semplificazione in favore degli operatori di settore, ha
reso nota l’entrata in esercizio (operativa già dalla seconda decade
di gennaio 2021) di una nuova funzionalità per individuare tutte le
imprese in possesso di attestazione di qualificazione per l’esecuzione
di lavori pubblici di importo superiore a 150.000,00 euro. Nella
fattispecie, dette modalità di ricerca sono disponibili alla pagina,
di libera consultazione, delle attestazioni di qualificazione di cui
al link che segue e, comunque, accessibile dalla sezione “Servizi” del
sito istituzionale ANAC:
https://servizi.anticorruzione.it/RicercaAttestazioniWebApp/#/ .
La ricerca è consentita attraverso l’inserimento del codice fiscale
dei soggetti incaricati della Direzione Tecnica e consente di
rilevarne l’eventuale presenza nelle attestazioni già pubblicate nel
Casellario. Con tale funzionalità tutti i soggetti interessati e, in
primo luogo, gli operatori economici e gli stessi direttori tecnici
incaricati, oltre alle SOA, possono verificare se il soggetto
designato a tale incarico risulti già presente in un attestato di
qualificazione.
Dichiarazioni dell’operatore economico in caso di cessione d’azienda
Con la sentenza in esame, il Consiglio di Stato precisa che l’art. 80
del d.lgs. n. 50/2016 non indica, tra i soggetti tenuti a rendere la
dichiarazione in ordine all’assenza di cause di esclusione, gli
amministratori del ramo d’azienda ceduta, per cui la violazione
dell’obbligo dichiarativo può verificarsi soltanto nel caso in cui
sussistano chiari indizi in ordine al fatto che, pur intervenuta la
cessione, in realtà sussista una continuità (di fatto) tra la
precedente gestione e la nuova gestione imprenditoriale.
In questo caso, infatti, il cessionario, così come si avvale dei
requisiti del cedente nell’ambito della partecipazione alle gare
pubbliche, allo stesso modo risente anche delle conseguenze di
eventuali responsabilità del soggetto cedente e dei suoi
amministratori. (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 3 maggio 2021,
n. 3481)
Qualora non vi siano stati malfunzionamenti alla procedura di gara
telematica, ricade sull’operatore economico l’eventuale impossibilità
di visualizzare correttamente un file
Nella pronuncia in esame il Tar Lombardia ha chiarito che, nelle
ipotesi in cui non si siano verificati malfunzionamenti alla procedura
di gara telematica, grava sull’operatore economico l’eventuale
impossibilità di visualizzare correttamente un file informatico.
Quest’ultimo ha infatti l’onere di verificare “l’integrità e la
leggibilità” dei files, utilizzando il criterio dell’ordinaria
diligenza “in considerazione del possibile verificarsi di
inconvenienti legati al deterioramento dei documenti digitali
trasmessi.”
Inoltre, nelle ipotesi in cui le regole della piattaforma di gara
stabiliscano che i files debbano essere inviati in formato PDF, senza
tuttavia esplicitare il programma da adoperare, “le regole
dell’ordinaria diligenza impongono che i files che compongono
l’offerta siano apribili con tutti i programmi in comune commercio.”
(T.A.R. Lombardia, Sez. IV, sentenza 7 maggio 2021, n. 1147)
La sopravvenuta perdita di un requisito soggettivo di un’impresa
mandante in fase di gara non determina l’esclusione dell’intero
raggruppamento temporaneo di imprese
Con la sentenza in esame, il Collegio amministrativo ha affermato il
principio secondo cui la sopravvenuta perdita di un requisito
soggettivo da parte di un’impresa mandante non comporta, di per sé,
l’esclusione dell’intero raggruppamento temporaneo di imprese.
Infatti, per effetto dell’articolo 48, comma 19-ter del Codice dei
Contratti Pubblici, le modifiche soggettive contemplate dal comma 18
della medesima disposizione si applicherebbero anche alla fase di
gara, determinando in caso di sopravvenuta perdita dei requisiti
soggettivi da parte di un’impresa mandante solo la sua esclusione, non
quella di tutto il raggruppamento. (T.A.R. Lazio, Latina, Sez. I,
sentenza 6 maggio 2021, n. 293).
Avvalimento
meramente premiale: limiti all’utilizzo dell’istituto per conseguire
un punteggio maggiore.
Con la pronuncia in esame, il Collegio, confermando un consolidato
orientamento giurisprudenziale, chiarisce che, in materia di
avvalimento, circostanza dirimente è che l’istituto opera in favore di
un operatore il quale, in difetto, sarebbe effettivamente privo dei
requisiti di partecipazione e non di chi, potendo senz’altro
concorrere (avendone mezzi e requisiti), miri esclusivamente alla
maggiore valorizzazione della propria proposta negoziale. Tale ultima
fattispecie, infatti, andrebbe a configurare un vero e proprio abuso
di avvalimento che, di fatto, trasforma detto strumento in un mero
escamotage per incrementare il punteggio di un’offerta cui in verità,
non ha nulla da aggiungere in concreto.
Deve, perciò, ritenersi escluso – secondo il Collegio – che
l’operatore economico concorrente possa avvantaggiarsi, rispetto ad
altri, delle esperienze pregresse dell’ausiliaria, ovvero di titoli o
di attributi spettanti a quest’ultima che, in quanto tali, non
qualifichino operativamente ed integrativamente il tenore dell’offerta
e non siano, quindi, oggetto di una prospettica e specifica attività
esecutiva. (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 25 marzo 2021, n.
2526)
Il principio di rotazione non opera in
caso di procedure selettive alle quali Stazione Appaltante, senza
effettuare alcuna scelta discrezionale, abbia invitato tutti gli
operatori che abbiano manifestato interesse.
Nel caso di specie il TAR Venezia è stato chiamato a pronunciarsi
sulle implicazioni derivanti dall’applicazione del “principio di
rotazione” degli inviti e degli affidamenti, sancito, per gli
affidamenti sottosoglia, dall’art 36 del D.lgs. n. 50/2016. Il
Collegio – muovendo dal presupposto per cui l’applicazione di tale
principio non comporta l’esclusione automatica di chi abbia in
precedenza lavorato correttamente con un'Amministrazione ma significa
non favorirlo – ha confermato l’orientamento per cui detto principio
deve essere applicato solamente nei casi in cui si proceda mediante
affidamento diretto (non preceduto da una fase selettiva) ovvero nelle
ipotesi di procedura negoziata, allorché l'amministrazione operi
discrezionalmente la scelta dei concorrenti da invitare.
Ne consegue che tale principio – e il meccanismo preclusivo, capace di
impedire al gestore uscente l’accesso alla procedura – non trova
applicazione ogniqualvolta la Stazione Appaltante abbia esperito
un’indagine di mercato invitando alla successiva fase tutti gli
operatori che abbiano manifestato interesse. (TAR Venezia, Sez. I,
sentenza 26 marzo 2021, n. 389)
Le sanzioni patrimoniali previste in un
protocollo di legalità dispiegano i propri effetti nei confronti di
tutti gli operatori inseriti nella filiera economica, rivestono
natura negoziale e sono attratte alla giurisdizione ordinaria.
L’applicazione di sanzioni pecuniarie in caso di violazione degli
obblighi contenuti all’ interno di un protocollo di legalità non
costituisce espressione di un potere autoritativo, ma privatistico,
“che trova base esclusivamente nei vincoli contrattuali assunti dalle
parti”.
Per questa ragione, il soggetto destinatario di una sanzione
patrimoniale contemplata da un protocollo di legalità non è titolare
“di un interesse legittimo, compreso nella giurisdizione generale di
legittimità del giudice amministrativo, ma di un diritto alla
conservazione della propria integrità patrimoniale, compreso nella
giurisdizione del giudice ordinario”. (TAR Milano, Sez. I, sentenza 12
marzo 2021, n. 647)
Responsabilità del committente rispetto
ai danni causati a terzi nell’esecuzione dei lavori di un appalto
pubblico.
La Corte di Cassazione ha delineato nella sentenza in oggetto, le
ipotesi in cui si configura la responsabilità della committente (nel
caso di specie: una concessionaria autostradale) per i danni causati a
terzi nell’esecuzione dei lavori di un appalto pubblico.
Preso atto della vasta, nonché in parte contrastante, giurisprudenza
in materia, è stato chiarito come non risulti applicabile a tale
ipotesi l’art. 2049 c.c., che prevede la responsabilità dei
committenti unicamente per i danni arrecati dal fatto illecito dei
lavoratori subordinati degli stessi o da soggetti qualificabili quali
“commessi dell’imprenditore”.
Inoltre, non è possibile affermare una generale corresponsabilità
stabile della committente, essendo l’appaltatore autonomo
nell’esecuzione dei propri obblighi contrattuali: la suddetta
responsabilità potrebbe configurarsi unicamente nelle ipotesi in cui
il fatto dannoso sia compiuto “in esecuzione del progetto e
delle direttive della committente stessa, ed essendo comunque soltanto
questa responsabile nel caso in cui essa abbia rigidamente vincolato
l’attività dell’appaltatore, così da neutralizzare completamente la
sua responsabilità di decisione”.
Infine, la Corte, concordando con quanto affermato nella precedente
sentenza del 28 settembre 2018, n. 23442, ha affermato il seguente
principio di diritto: “ nei confronti dei terzi danneggiati
dall’esecuzione di opere, effettuate in forza del contratto di
appalto, il committente è sempre gravato dalla responsabilità
oggettiva di cui all’art. 2051 c.c. la quale non può venir meno per la
consegna dell’immobile all’appaltatore ai fini dell’esecuzione delle
opere stesse, bensì trova limite esclusivamente nel caso fortuito; il
che naturalmente non esclude ulteriori responsabilità ex art. 2043
c.c. del committente e/o dell’appaltatore. Il caso fortuito poi, non,
può essere applicato con una modalità peculiare e riduttiva, così da
reintrodurre, per un'altra via, un’abusiva “contrattualizzazione”
della fattispecie: esso non può automaticamente coincidere con
l’inadempimento dell’appaltatore degli obblighi contrattualmente
assunti nei confronti del committente, non potendosi sminuire il
concetto di imprevedibilità/ inevitabilità che costituisce la sostanza
del caso fortuito previsto dall’art. 2051 c.c. come limite della
responsabilità oggettiva ivi configurata ”. (Cassazione civile, Sez.
III, sentenza 17 marzo 2021, n. 7553).
L’impresa
consorziata non designata all’esecuzione lavori in un consorzio
stabile può essere sostituita a causa della perdita dei requisiti di
qualificazione in una gara, essendo la sua posizione equiparabile a
quella dell’impresa ausiliaria in un avvalimento.
L’Adunanza Plenaria si è espressa in ordine alla possibilità per un
consorzio stabile di sostituire - come avviene per l’avvalimento in
applicazione dell’articolo 89, comma 3 del Codice dei contratti
pubblici- su ordine della stazione appaltante, una propria consorziata
non designata ai fini dell’esecuzione dei lavori durante la gara,
nell’eventualità in cui essa perda i propri requisiti di
qualificazione.
In particolare, l’ordinanza di rimessione chiedeva se fosse
consentito, in applicazione dell’articolo 47, comma 2 del Codice dei
contratti pubblici allora vigente, considerare la consorziata non
designata ai lavori quale soggetto terzo rispetto all’organismo
consortile, equiparando sostanzialmente la sua posizione a quella
dell’impresa ausiliaria nell’avvalimento.
L’Adunanza Plenaria, dopo aver ricostruito la figura del consorzio
stabile, si è soffermata sull’analisi dell’articolo 47 del D.lgs. n.
50 del 2016, il quale, fino all’intervento del D.L. n. 32 del 2019,
prescriveva che “I consorzi di cui agli articoli 45, comma 2, lettera
c) e 46, comma 1, lettera f), al fine della qualificazione, possono
utilizzare sia i requisiti di qualificazione maturati in proprio, sia
quelli posseduti dalle singole imprese consorziate designate per
l’esecuzione delle prestazioni, sia, mediante avvalimento, quelli
delle singole imprese consorziate non designate per l’esecuzione del
contratto.”
Questo meccanismo di qualificazione, oggi, a seguito del D.L. n. 32
del 2019, limitato solo ad attrezzature, mezzi d'opera e organico
medio annuo, si giustifica da un lato, in virtù del patto consortile
sottoscritto tra i membri del consorzio, influenzato da una causa
mutualistica, dall’altro, da un rapporto duraturo tra le stesse
consorziate, avente ad oggetto “una comune struttura di impresa”.
I vari rapporti, tuttavia, non presentano la medesima fisionomia, dato
che solo le consorziate designate per l’esecuzione dei lavori
partecipano alla gara e concordano l’offerta, assumendo una
responsabilità in solido con il consorzio stabile nei confronti della
stazione appaltante, mentre le consorziate non designate ai lavori
sono tenute a conferire unicamente i requisiti, senza alcuna
assunzione di responsabilità.
Per l’Adunanza Plenaria, quindi, il rapporto tra consorzio stabile e
consorziata non chiamata ai lavori può essere ricostruito nel senso di
un legame di avvalimento peculiare, la cui specialità si concretizza
nella totale carenza di responsabilità dell’impresa ausiliaria verso
il committente.
Pertanto, “la consorziata di un consorzio stabile, non designata ai
fini dell’esecuzione dei lavori, è equiparabile, ai fini
dell’applicazione dell’art. 63 della direttiva 24/2014/UE e dell’art.
89 co. 3 del d.lgs. n. 50/2016, all’impresa ausiliaria
nell’avvalimento, sicché la perdita da parte della stessa del
requisito impone alla stazione appaltante di ordinarne la
sostituzione”. (Consiglio di Stato, Ad.za Plenaria, sentenza 18 marzo
2021, n. 5).
L’accesso difensivo agli atti presuppone
l’accertamento del vincolo di strumentalità tra la documentazione
richiesta e la situazione finale che si intende tutelare.
Con la sentenza in esame, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato
torna a pronunciarsi sulla delicata materia dell’accesso agli atti e
si occupa, in particolare, di chiarire i limiti e i presupposti del
c.d. “accesso difensivo” (l’accesso preordinato all’esercizio del
diritto alla tutela giurisdizionale), disciplinato dall’art. 24, comma
7, l. n. 241/1990.
Chiarisce in particolare l’Adunanza Plenaria che, ai fini di
quell’accesso, l’Amministrazione è tenuta a valutare esclusivamente la
sussistenza di un vincolo di strumentalità tra la documentazione
richiesta e la situazione finale che l’istante intende curare o
tutelare.
Nessuna valutazione è ammessa, invece, in merito all’influenza o alla
decisività del documento richiesto nell’eventuale giudizio poiché –
rileva la Plenaria – tale apprezzamento compete, se del caso,
esclusivamente all’autorità giudiziaria e non certo alla P.A. (né,
tantomeno, al Giudice Amministrativo nel giudizio sull’accesso).
(Consiglio di Stato, Ad.za Plenaria, sentenza 18 marzo 2021, n. 4).
La scelta dell’italiano quale lingua
ufficiale della procedura di gara non comporta l’esclusione
dell’operatore economico che abbia presentato le certificazioni di
qualità unicamente in lingua inglese.
Il Consiglio di Stato nella pronuncia in esame ha affermato che le
certificazioni di qualità rilasciate in inglese da un organismo
certificatore non affiliato ad ACCREDIA, anche prive di traduzione,
possono essere inserite nell’offerta dell’operatore economico, anche
qualora sia stata individuata quale lingua ufficiale della procedura
di appalto quella italiana.
Infatti il rilascio dei certificati da tali organismi risultava
conforme sia alle disposizioni del disciplinare di gara sia all’art.
87 del d. lgs. n. 50/2016.
Inoltre il Consiglio di Stato ha affermato che la scelta dell’utilizzo
della lingua italiana per la procedura di gara non può giustificare
l’esclusione dell’operatore economico che abbia utilizzato documenti
in inglese, poiché si tratterebbe di una conseguenza che “eccede
l’interesse sotteso alla regola dell’uso della lingua italiana, nella
misura in cui preclude da un lato la valutabilità di atti redatti nel
loro originale in lingua estera e dall’altro impone una duplicazione
documentale, attraverso il ricorso a traduzioni giurate, che può
invece essere supplita con la conoscenza personale della lingua
inglese da parte dei componenti della commissione giudicatrice”.
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 15 febbraio 2021, n. 1313).
Responsabilità precontrattuale
dell’amministrazione aggiudicatrice: sussiste nelle ipotesi in cui
ometta di comunicare l’impugnazione della procedura di gara e la
successiva pubblicazione della sentenza.
Con la pronuncia in esame il Tar Lazio ha affermato che sussiste la
responsabilità precontrattuale dell’Amministrazione aggiudicatrice
nelle ipotesi in cui ometta di comunicare al concorrente l’avvenuta
impugnazione della gara, comportando così l’impossibilità per
quest’ultimo di prendere conoscenza delle conseguenti censure che
potrebbero comportarne l’annullamento.
Nel caso di specie, era stato costituito un consorzio appositamente al
fine di partecipare ad una procedura di gara, che veniva
successivamente impugnata ed annullata integralmente in primo grado
per eccesso di potere e difetto di istruttoria nella formazione della
lex specialis di gara. L’Amministrazione aggiudicatrice ometteva di
comunicare al concorrente sia la pendenza del giudizio sia la
successiva pubblicazione della sentenza.
In considerazione di quanto sopra il Tar ha riconosciuto la
sussistenza della responsabilità precontrattuale dell’Amministrazione:
fra i suoi doveri rientrano infatti quello di “fornire ogni notizia
rilevante, conosciuta o conoscibile con l’ordinaria diligenza, ai fini
della conduzione delle trattative o della stipulazione del contratto”.
Inoltre è stato chiarito che “nella responsabilità pre-contrattuale il
pregiudizio risarcibile non è mai commisurato alle utilità che
sarebbero derivate dal negozio non concluso, ma al c. d. interesse
negativo quale interesse a non subire le conseguenze negative
derivanti dalle scelte compiute per la fiducia mal riposta, che può
venire in rilievo sotto il profilo del danno emergente e del lucro
cessante, quest’ultimo a sua volta distinto in danno da perdita di
altre occasioni alternative favorevoli andate sfumate oppure, in caso
di contratto valido non conveniente, quale danno differenziale”. (TAR
Lazio, Sez. II, sentenza 12 marzo 2021, n. 3063).
I criteri ambientali minimi non
costituiscono requisiti di partecipazione né di esecuzione.
I criteri ambientali minimi non possono essere qualificati in senso
proprio come requisiti né di partecipazione né di esecuzione: non sono
requisiti di partecipazione dal momento che questi afferiscono al
concorrente sia in quanto operatore economico (c.d. requisiti
generali) sia in quanto imprenditore del settore (c.d. requisiti
speciali); non sono requisiti di esecuzione in quanto quest’ultimi
devono intendersi quali condizioni soggettive ed oggettive
dell’appaltatore e sono previsti al fine di assicurare il puntuale
adempimento di tutte le obbligazioni inerenti al contratto pubblico
per cui è stata indetta la gara.
I criteri ambientali nel caso di specie costituivano elementi
essenziali dell’offerta, ossia caratteristiche qualitative che
dovevano essere possedute dalle cose oggetto di fornitura (nel caso di
specie arredi e attrezzature che debbano risultare in grado di
soddisfare i criteri ambientali minimi richiesti).
Pertanto, il TAR ha considerato illegittimo il provvedimento di
aggiudicazione impugnato per non avere la stazione appaltante
preventivamente verificato l’osservanza dei criteri ambientali minimi
relativamente ai beni che hanno costituito oggetto di offerta. (TAR
Napoli, Sez. II, sentenza 8 marzo 2021, n. 1529).
L’avvalimento serve solo ad accedere
alla procedura di gara e non può essere valutato per incrementare il
punteggio dell’offerta tecnica.
Il TAR Calabria, in linea con il consolidato orientamento
giurisprudenziale secondo cui nell’avvalimento di garanzia (avente
cioè ad oggetto il requisito di capacità economica finanziaria,
rappresentato dal fatturato sia globale che specifico) si deve evitare
il rischio che il prestito dei requisiti da parte dell’ausiliario
rimanga soltanto su un piano astratto, ha evidenziato l’illegittimità
delle valutazioni compiute dalla stazione appaltante nella parte in
cui questa ha proceduto ad assegnare un punteggio per i servizi
analoghi svolti non dal concorrente ma da una delle società
ausiliarie.
In pratica, secondo il TAR, è illegittima la valutazione degli stessi
requisiti ai fini della partecipazione alla competizione (per la quale
è stato attivato l’avvalimento) e dell’attribuzione di punteggio
all’offerta tecnica.
Ciò, in quanto - secondo giurisprudenza costante - “l’avvalimento è un
istituto utilizzabile esclusivamente per accedere alla gara, non anche
per conseguire un punteggio più elevato per l’offerta tecnica” (cfr.
Cons. Stato n. 1916/2020 e n. 4785/2020). (TAR Calabria, Sez. I,
sentenza 1° marzo 2021, n. 444).
La cessione da parte dell’aggiudicatario
di un appalto di servizi (una società a totale partecipazione
pubblica) di un credito a terzi non richiede l’espletamento di una
procedura ad evidenza pubblica
La Corte di Cassazione, nella sentenza in esame, ha affermato come le
operazioni di cessione del credito effettuate dall’aggiudicatario di
un appalto di servizi (nello specifico si trattava di una società a
totale partecipazione pubblica) a favore di un terzo soggetto non
richiedono l’espletamento di una procedura ad evidenza pubblica.
Nel caso di specie, i precedenti gradi di giudizio avevano ricondotto
le cessioni di credito all’interno delle fattispecie contrattuali
aventi ad oggetto servizi finanziari di tipo oneroso: dunque, essi non
avrebbero potuto essere esclusi dall’applicazione delle disposizioni
previste dall’art. 19, comma 1. Lettera d) del D. lgs. n. 163/2006 (di
seguito Codice degli appalti) Pertanto, la società cedente, in quanto
organismo di diritto pubblico, avrebbe dovuto selezionare il
cessionario di credito attraverso un’apposita procedura ad evidenza
pubblica, oppure - in alternativa - tramite una procedura competitiva,
ai sensi dell’art. 27 del Codice degli appalti.
In merito, la Corte di Cassazione, ponendosi in contrasto anche con
sue precedenti pronunce, ha in primo luogo denotato come risulti
“arduo sostenere che una singola cessione onerosa, non inserita in
un’attività di servizio più ampia a beneficio dell’organismo di
diritto pubblico, possa rientrare tra i “servizi bancari e finanziari”
cui fa riferimento l’Allegato II A) richiamato dal D. Lgs. n. 163 del
2006, art. 20, comma 2 (e art. 3, comma 10).“
A sostegno di tale affermazione viene addotto come né il Testo Unico
della Finanza (TUF) né la giurisprudenza amministrativa riconducano
nella nozione di servizi finanziari gli atti di cessione di crediti.
In considerazione di quanto analizzato, la Corte di Cassazione ha
affermato il seguente principio di diritto: “ ne consegue che, ai fini
della validità della cessione del credito da parte di una società
privata, qualificabile come organismo di diritto pubblico, per il
corrispettivo dell’esecuzione di un appalto di servizi, non è
richiesto da norme imperative, dunque a pena di nullità, che la
selezione del contraente ( cessionario) avvenga mediante procedimento
ad evidenza pubblica, non rientrando la predetta cessione né tra i
“servizi bancari e finanziari” di cui all’allegato II A),
richiamato dall’art. 20, comma 2 e art. 3, comma 10, del codice degli
appalti del 2006 (D. lgs. n. 12 aprile 2006, n. 163), né tra i
“servizi esclusi” cui si applicano i principi proconcorrenziali
derivanti dai trattati Europei, ai sensi dell’art. 27 del medesimo
codice (applicabile ratione temporis); inoltre, la cessione di credito
è un contratto “attivo” al quale i suddetti principi sono stati estesi
da normativa entrata in vigore solo successivamente (art. 4 del codice
del 2016, come modificato dal D. Lgs. 18 aprile 2017, n. 56, art. 5,
comma 1), inoltre applicabile alle sole amministrazioni statali, a
norma del R. D. 18 novembre 1923, n. 2440, art. 3”. (Cassazione
civile, Sez. I, sentenza 2 marzo 2021, n. 5664).
Sentenza
del Tribunale di Napoli, sezione specializzata in materia di impresa
(Sez. III, 12 gennaio 2021, n. 219)
Nel caso di specie, il Curatore di una società di capitali fallita (di
seguito la “Società”) ha promosso diverse azioni di responsabilità nei
confronti di:
(i)
amministratori;
(ii)
sindaci;
(iii)
notaio rogante l’operazione di scissione.
Le responsabilità addebitate ai suddetti soggetti sono:
irregolarità contabili e perdita del capitale dovuta all’omessa
indicazione di debiti tributari in bilancio, la cui rilevazione è
stata omessa in bilancio al fine di nascondere la verificazione della
causa di scioglimento di cui all’art. 2484, n.4, c.c.;
responsabilità del notaio rogante - nell’ambito di un’operazione di
scissione proporzionale deliberata dall’assemblea della Società - per
aver ricevuto un atto contrario alla regola della rispondenza tra
progetto di scissione e patrimonio trasferito.
Con riferimento alla responsabilità di cui al punto 1), il Tribunale
ha accertato ed accolto la tesi attorea (del Curatore) in punto di
mancata annotazione nel bilancio di competenza della Società di un
ingente debito tributario.
Da tale omissione la Società ha ottenuto un indebito beneficio: la
rilevazione del debito nel bilancio avrebbe, infatti, comportato
l’aumento del passivo dello stato patrimoniale e, quindi, un risultato
di esercizio negativo, con conseguente azzeramento del capitale
sociale e del patrimonio netto. L’erosione del capitale avrebbe così
comportato il realizzarsi della causa di scioglimento della Società
prevista dall’art. 2484, comma 1, n. 4, c.c. dalla quale derivano
specifici obblighi per gli amministratori, tra cui:
- l’accertamento della causa di scioglimento;
- la realizzazione di una gestione meramente conservativa
dell’integrità e del valore del patrimonio sociale (art. 2486 c.c.),
obblighi ai quali gli amministratori, nel caso di specie, sono venuti
meno.
Il Tribunale, riconosciuta la responsabilità dell’organo gestorio per
le suddette omissioni, ha quantificato il danno in misura pari
all’esposizione debitoria accumulata dalla data in cui l’erosione del
capitale si sarebbe verificata in caso di corretta annotazione del
debito tributario nel bilancio di gestione, a quella di dichiarazione
del fallimento della Società: l’importo risultante da tale operazione
rappresenta il frutto della gestione non meramente conservativa posta
in essere dagli amministratori. L’anzidetta esposizione debitoria non
sarebbe, infatti, maturata ove la causa di scioglimento fosse stata
tempestivamente accertata e la Società posta in liquidazione.
Oltre agli amministratori, anche i sindaci sono stati ritenuti
responsabili per l’aggravio debitorio conseguito dall’omessa
indicazione del debito tributario in bilancio e dalla conseguente
mancata attuazione dei suddetti obblighi posti in capo agli
amministratori (art. 2484, comma 1, n.4, c.c.). I sindaci sono,
infatti, civilmente responsabili - al pari degli amministratori - dei
danni derivanti dagli atti compiuti nell’esercizio del loro ufficio.
[Ai sensi dell’art. 2403 c.c. grava sui sindaci l’obbligo di vigilare
“sull’osservanza della legge e dello statuto, sul rispetto dei
principi di corretta amministrazione ed in particolare
sull’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e
contabile adottato dalla società e sul suo concreto funzionamento”.]
Il Tribunale di Napoli ha perciò censurato la condotta dei sindaci
della Società per aver omesso di attivare i poteri a loro riconosciuti
per legge (per esempio: convocazione dell’assemblea in caso di inerzia
o ritardo degli amministratori; proposizione di ricorso al tribunale
per l’accertamento della causa di scioglimento; impugnazione delle
delibere di approvazione dei bilanci perché contrarie al principio di
veridicità; proposizione di denuncia al tribunale ai sensi dell’art.
2409 c.c. per gravi irregolarità nella gestione) al fine di impedire
il compimento di atti dannosi per i creditori sociali e l’aggravarsi
della situazione debitoria della società.
Il Tribunale ha, altresì, evidenziato che le dimissioni dei sindaci
non rappresentano causa di esclusione della loro responsabilità,
operando nel caso di specie il principio della prorogatio.
Quanto al punto 2), il Curatore ha lamentato la sottrazione di alcune
risorse della Società avvenuta in occasione dell’operazione di
scissione.
La Società ha trasferito un ramo d’azienda, comprensivo di contatti di
appalto, lavoratori dipendenti, debiti e crediti, ad una società di
nuova costituzione (c.d. NewCo). Il progetto riportava l’indicazione
specifica degli elementi attivi e passivi trasferiti dalla Società
(scissa) alla beneficiaria.
L’atto notarile di scissione prevedeva – correttamente – il subentro
della beneficiaria nel patrimonio attivo e passivo assegnatole per
effetto della scissione, come indicato nel relativo progetto, e la
precisazione che eventuali elementi attivi non indicati nel progetto
sarebbero rimasti in capo alla società scissa (ciò in conformità a
quanto previsto dall’art. 2506 bis, comma 3, c.c. per l’ipotesi di
scissione parziale).
L’atto di scissione riportava la dichiarazione dell’amministratore
della Società scissa in virtù della quale veniva ricompreso nel
patrimonio assegnato alla beneficiaria un immobile che non compariva
nel progetto di scissione. La curatela ha perciò dedotto la
responsabilità del professionista rogante per violazione dell’art. 28
Legge notarile (L. n.89/1913) che fa divieto al notaio di ricevere
atti espressamente proibiti dalla legge o manifestamente contrari al
buon costume o all’ordine pubblico e quindi, nel caso concreto, per
aver rogato un atto contrario al disposto dell’art. 2506 bis c.c. in
tema di scissione.
Il Tribunale ha accolto la domanda del Curatore riconoscendo una
duplice responsabilità al professionista:
- contrattuale, nei confronti della società, per aver stipulato un
atto di scissione difforme dal progetto approvato;
- da contatto sociale, nei confronti dei creditori sociali danneggiati
dall’atto posto in essere in violazione degli obblighi di legge che
impongono al notaio di tutelare l’interesse pubblico alla certezza dei
trasferimenti.
L’ammontare del danno è stato quantificato in misura pari al valore
dell’immobile illecitamente trasferito dalla scissa alla beneficiaria.
Sentenza
della Corte di Cassazione Penale (Sez. VI., 2 marzo 2021, n. 8349) in
tema di sequestro preventivo di beni e quote di alcune società
appartenenti ad una medesima organizzazione imprenditoriale (ex art.
321, comma 2, c.p.p. e art. 25-undecies, lett. f, D. Lgs. 231/2001).
Nel caso di specie, il giudice per le indagini preliminari aveva
ordinato il sequestro preventivo di beni aziendali, di quote e di
azioni di alcune società riconducibili ad un medesimo gruppo
aziendale, in quanto beni “strumentali a commettere i reati di
attività organizzate per il traffico dei rifiuti e frode in pubbliche
forniture, ai sensi degli artt. 81, 110, 112, 356 e 452- quaterdecies
cod. pen.”.
Il Tribunale del Riesame, innanzi al quale era stato impugnato tale
provvedimento cautelare, aveva confermato il provvedimento,
evidenziando che tutte le società nei confronti delle quali era stato
disposto il sequestro erano state adoperate- poiché funzionalmente a
ciò destinate - alla consumazione continuativa e sistematica degli
illeciti. A riprova dell’unicità dell’organizzazione imprenditoriale
e, quindi, della condivisione di interessi e vantaggi tra le società,
il Tribunale aveva rilevato “l’unicità degli amministratori, della
compagine sociale e dei fondi delle tre società, dal tenore delle
intercettazioni e dalle dichiarazioni delle persone informate sui
fatti”.
La Suprema Corte, innanzi alla quale il provvedimento del Tribunale
del Riesame è stato impugnato, ha rigettato il ricorso, giudicato
infondato, ed ha confermato le precedenti pronunce.
La sentenza risulta di particolare interesse poiché applica la misura
cautelare del sequestro preventivo ad una pluralità di società. La
Suprema Corte (come prima di essa il giudice per le indagini
preliminari ed il Tribunale del Riesame), infatti, ha accertato
l’appartenenza delle società destinatarie della misura cautelare ad
una medesima organizzazione imprenditoriale, con comunanza di
amministratori e compagine sociale e, soprattutto, comunanza di
intenti nella consumazione “continuativa” e “sistematica” degli
illeciti.
La pronuncia si pone in continuità alla precedente giurisprudenza di
legittimità, la quale ha più volte chiarito che l’interesse ed il
vantaggio dell’ente alla commissione del reato devono essere
riscontrati in concreto, non potendosi ritenere che l’appartenenza
della società ad un gruppo implichi automaticamente la sua
responsabilità per le scelte compiute, per esempio, dalla capogruppo.
Perché anche un’altra società del gruppo, oltre a quella a cui è
imputabile direttamente la responsabilità del reato, possa essere
ritenuta responsabile, è necessario che l’illecito commesso nella
controllata (in quel caso concreto) abbia recato una specifica e
concreta utilità alla controllante o ad altra società del gruppo (cfr.
Cass. Sez. V pen., n. 24583/2011).
In ragione di ciò, si conferma nuovamente che la controllante (o altra
società del gruppo), potrà essere ritenuta responsabile per il reato
commesso dalla controllata (o da altra società del gruppo) solo
quando:
- venga accertato che il reato presupposto è stato commesso non solo
nell’interesse e a vantaggio della controllata, ma anche della
controllante;
- le persone fisiche collegate funzionalmente alla controllante hanno
partecipato alla commissione del reato presupposto addebitato alla
controllata.
Detti presupposti sono stati ritenuti soddisfatti nel caso di specie,
in considerazione dell’avvenuto accertamento in sede giudiziale di (i)
comunanza di intenti e di (ii) coincidenza dei vertici amministrativi
delle società destinatarie del sequestro.
Legge
di conversione 26 febbraio 2021, n. 21, recante “Disposizioni
urgenti in materia di termini legislativi, di realizzazione di
collegamenti digitali, di esecuzione della decisione (UE. EURATOM)
2020/2053 del Consiglio, del 14 dicembre 2020, nonché in materia di
recesso del Regno Unito dall’Unione europea. Proroga del termine per
la conclusione dei lavori della Commissione parlamentare di
inchiesta sui fatti accaduti presso la comunità ‘Il Forteto’”.
In data 01 marzo 2021 è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale, serie
generale n. 51, la legge n. 21 del 26 febbraio 2021, la quale ha
convertito il decreto- legge n. 183 del 31 dicembre 2020 (cosiddetto
Decreto Milleproroghe), in vigore dal giorno successivo.
Di seguito si riportano le principali modifiche introdotte.
Articolo
8, comma 5- bis:
La legge di conversione, modificando l’art. 22 della l. n. 247/12
recante “Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense”
ha prorogato di un anno la possibilità di iscriversi nell’albo
speciale per il patrocinio davanti alle giurisdizioni superiori per
coloro che abbiano maturato i requisiti in conformità alla previgente
normativa.
Articolo
11, comma 10-bis:
Vengono differiti al 31 marzo 2021 i termini di decadenza, scaduti
entro il 31 dicembre 2020, relativi all’invio “delle domande di
accesso ai trattamenti di integrazione salariale collegati
all’emergenza epidemiologica da COVID-19 e i termini di trasmissione
dei dati necessari per il pagamento o per il saldo degli stessi”.
Articolo
12, comma 1-bis:
L’arco temporale relativo al credito d’imposta introdotto dall’art.
38- ter del d. l. n. 34/20, convertito dalla l. n. 77/20, pari al 50
per cento dei costi di costituzione o trasformazione in società
benefit, è stato esteso fino al 30 giugno 2021.
Articolo
13:
- comma 1- bis:
E’ stato modificato l’art. 8, comma 4 del d. l. 76/20, convertito
dalla l. n. 120/20 (cosiddetto Decreto Semplificazioni), come segue:”
Con riferimento ai lavori in corso di esecuzione alla data di entrata
in vigore del presente decreto:
a. il direttore dei lavori adotta, in relazione alle
lavorazioni effettuate alla data del 15 giugno 2021 e anche in deroga
alle specifiche clausole contrattuali, lo stato di avanzamento dei
lavori entro il 30 giugno 2021. Il certificato di pagamento viene
emesso contestualmente e comunque entro cinque giorni dall'adozione
dello stato di avanzamento. Il pagamento viene effettuato entro
quindici giorni dall'emissione del certificato di cui al secondo
periodo nei limiti della disponibilità finanziaria della stazione
appaltante e compatibilmente con le risorse annuali stanziate per lo
specifico intervento cui lo stato di avanzamento dei lavori si
riferisce”.
- comma 2, lettera
b-bis):
è stato modificato l’art. 1, comma 10 del d. l. n. 32/19, convertito
dalla l. n. 55/19 (cosiddetto Decreto Sbloccacantieri), come segue:”
Fino al 31 dicembre 2021, possono essere oggetto di riserva anche gli
aspetti progettuali che sono stati oggetto di verifica ai sensi
dell'articolo 25 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, con
conseguente estensione dell'ambito di applicazione dell'accordo
bonario di cui all'articolo 205 del medesimo decreto legislativo”.
-
comma 14- bis:
ha modificato l’art. 1, comma 1138 della l. n. 205/17 come segue: “Il
termine di cui all'articolo 1, comma 1, primo periodo, del
decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito,
con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, è prorogato
al 31 dicembre 2021 e comunque, se anteriore, fino alla nomina, ai
sensi dell'articolo 4, comma 1, del decreto-legge 18 aprile 2019, n.
32, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 giugno 2019, n. 55,
dei Commissari straordinari per la realizzazione delle opere relative
alla tratta ferroviaria Napoli-Bari e all'asse ferroviario AV/AC
Palermo-Catania-Messina previste dai commi 1 e 9
del medesimo articolo 1 del
decreto-legge n. 133 del 2014,
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 164 del 2014”.
-
comma 17-bis:
E’ stata introdotta la seguente disposizione: “Al fine
di assicurare l'omogeneità della
normativa nazionale con quella dell'Unione europea in materia di
requisiti e di sicurezza delle gallerie ferroviarie del
sistema ferroviario, come definito
dall'articolo 3, comma 1, lettera
a), del decreto legislativo 14 maggio 2019, n.
50, con decreto del Ministro delle
infrastrutture e dei trasporti, adottato di concerto con il
Ministro dell'interno, sentiti il Consiglio superiore dei
lavori pubblici e l'Agenzia nazionale
per la sicurezza delle ferrovie
e delle infrastrutture stradali e autostradali, sono
approvate apposite linee guida finalizzate a
garantire un livello adeguato di
sicurezza ferroviaria mediante specifiche prescrizioni tecniche
di prevenzione e di protezione da applicare alle
infrastrutture ferroviarie e ai veicoli da parte dei
gestori e delle imprese ferroviarie. Il decreto di cui al primo
periodo è notificato alla Commissione europea e all'Agenzia
dell'Unione europea per le
ferrovie, ai sensi dell'articolo 7, comma 4, del citato
decreto legislativo n. 50 del 2019, ed è adottato entro trenta
giorni dalla data di emissione del parere favorevole espresso dalla
Commissione europea. Nelle more dell'entrata in vigore del
decreto di cui al primo periodo e tenuto conto delle conseguenze
derivanti dall'emergenza epidemiologica da COVID-19, sono differiti al
31 dicembre 2023 i termini previsti dagli articoli 3, comma 8, 10,
comma 2, e 11, comma 4, del decreto del Ministro delle infrastrutture
e dei trasporti 28 ottobre 2005, pubblicato nel supplemento ordinario
n. 89 alla Gazzetta Ufficiale n. 83 dell'8 aprile 2006”.
-
comma 17- ter:
E’ stato modificato l’art. 53, comma 2 del d. l. n. 1/12, convertito
dalla l. n. 27/12, relativo all’adeguamento della disciplina
progettuale delle infrastrutture ferroviarie e stradali e delle
disposizioni in materia di gallerie stradali alla normativa europea,
come segue: “Non possono essere applicati alla
progettazione e costruzione delle nuove
infrastrutture ferroviarie nazionali nonché
agli adeguamenti di quelle esistenti, parametri
e standard tecnici e funzionali più stringenti
rispetto a quelli previsti dagli accordi e dalle norme dell'Unione
Europea, fatti salvi quelli finalizzati a garantire più elevati
livelli di sicurezza del sistema
ferroviario e che
non determinino limitazioni
all'interoperabilità o
discriminazioni nella circolazione
ferroviaria".
Articolo
17-ter:
E’ stato aggiunto l’art. 17- ter recante “Proroga di disposizioni in
favore delle popolazioni dei territori dell’Italia centrale colpiti
dal sisma del 2016”, che ha aggiunto all’art. 1 del d. l. n. 76/20
(cosiddetto Decreto Semplificazioni), convertito dalla l. n. 120/20,
la lettera a-bis) la quale prevede che “nelle aree del cratere sismico
di cui agli allegati 1, 2 e 2-bis al decreto-legge 17 ottobre 2016,
n. 189, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 dicembre
2016, n. 229, affidamento diretto delle attività di esecuzione
di lavori, servizi e forniture nonché dei servizi di
ingegneria e architettura, compresa l'attività
di progettazione, di importo inferiore a 150.000 euro, fino al termine
delle attività di ricostruzione pubblica previste dall'articolo 14 del
citato decreto-legge n. 189 del 2016".
Con
la nota in oggetto il MIT ha fornito chiarimenti, alle stazioni
appaltanti, in merito agli obblighi di pubblicità da osservare per
gli affidamenti degli appalti sotto soglia, ai sensi dell’art. 1,
comma 2, lettera b) del d. l. n. 76/20. Si rammenta che tale
disposizione subordina l’utilizzo della procedura negoziata senza
bando, prevista all’art. 63 del D. lgs. n. 50/2016, alla
consultazione di un numero minimo di operatori (da 5 a 15), in
considerazione dell’importo dell’affidamento. Gli operatori
economici andranno individuati attraverso appositi elenchi o
indagini di mercato e gli inviti dovranno essere effettuati in
attuazione del criterio della rotazione, il quale tenga in
considerazione anche la dislocazione territoriale delle imprese.
In merito a ciò è stato precisato che le stazioni appaltanti
dovranno rendere noto sia l’avvio delle procedure negoziate sia i
risultati della procedura di affidamento attraverso la pubblicazione
di un apposito avviso nei propri siti internet istituzionali:
tuttavia unicamente l’avviso relativo all’aggiudicazione dovrà
indicare tutti soggetti invitati.
Nel caso in cui ricorra all’utilizzo di indagini di mercato, la
stazione appaltante sarà tenuta a rispettare quanto previsto dalla
linea guida n. 4 dell’ANAC, la quale stabilisce che l’attività di
esplorazione del mercato deve essere effettuata con gli strumenti
ritenuti più idonei, in considerazione della rilevanza del mercato e
del settore merceologico di riferimento, ed in ogni caso deve
esserne dato avviso tramite pubblicazione sul sito
dell’Amministrazione.
Qualora invece la stazione appaltante decida di utilizzare elenchi
appositi “è tenuta a dare immediata evidenza dell’avvio della
procedura negoziata mediante la pubblicazione sul proprio sito
istituzionale di uno specifico avviso, recante l’indicazione anche
dei riferimenti dell’elenco da cui le imprese sono state scelte.”
Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri - “Approvazione
del modello unico di dichiarazione ambientale per l’anno 2021”
Si comunica che in data 16 febbraio 2021 è stato pubblicato in
Gazzetta Ufficiale, serie generale n. 39, il nuovo Modello unico di
dichiarazione ambientale (MUD), che sostituisce integralmente il
precedente. Tale modello dovrà essere adoperato per le dichiarazioni
presentante entro il 30 aprile di ogni anno, con riferimento
all’anno precedente, come disposto dalla legge 25 gennaio 1994, n.
70.
Come riportato nel testo, l’Allegato 1 concerne varie comunicazioni,
fra le quali si segnalano: la Comunicazione di Rifiuti, la
Comunicazione di imballaggi, composta dalla Sezione Consorzi e dalla
Sezione Gestori Rifiuti da imballaggio, la Comunicazione Rifiuti
Urbani, assimilati e raccolti in convenzione.
ANAC: FAQ – Linee guida n. 3 di attuazione del D. lgs. 18 aprile
2016, n. 50, recanti “Nomina, ruolo e compiti del responsabile unico
del procedimento per l’affidamento di appalti e concessioni”
In data 19 febbraio 2021 l’ANAC ha aggiornato le proprie FAQ
relative alle Linea guida n. 3, di attuazione del D. lgs. 18 aprile
2016, n. 50, recanti “Nomina, ruolo e compiti del responsabile unico
del procedimento per l’affidamento di appalti e concessioni”,
introducendo la FAQ n. 2.
In merito all’art. 4.2 della Linea guida sopra citata, che
stabilisce quali requisiti di professionalità debba avere il
Responsabile unico del procedimento (RUP) per i lavori e per i
servizi attinenti all’ingegneria e all’architettura, la nuova FAQ
introdotta ha chiarito come i soggetti in possesso dei requisiti
previsti all’art. 4.2, lettera b) possano svolgere anche le funzioni
di RUP per gli affidamenti di valore inferiore ai 150.000 euro ai
sensi dell’art. 4.2, lettera a).
Tale diposizione infatti prevede unicamente “i requisiti “minimi
“che un soggetto deve avere per svolgere le funzioni di RUP per gli
affidamenti ivi previsti di valore inferiore a 150.000, 00 euro”.
ANAC: Linee guida recanti «Indicazioni in materia di affidamenti in
house di contratti aventi ad oggetto servizi disponibili sul mercato
in regime di concorrenza ai sensi dell’articolo 192, comma 2, del
decreto legislativo 18 aprile 2016 n. 50 e s.m.i.»
L’ANAC ha deliberato l’avvio di una consultazione pubblica sulla
bozza di Linee Guida in tema di onere motivazionale richiesto alle
Stazioni Appaltanti ai fini di un affidamento in-house.
Gli Stakeholder potranno far pervenire le loro osservazioni entro il
giorno 15 marzo 2021 alle ore 24.00.
L’integrazione
dell’offerta tecnica di un progetto relativo ad opere viarie può
essere sottoscritta unicamente dagli ingegneri, nel caso in cui
concerna proposte migliorative o varianti.
Infatti, in considerazione di quanto statuito dalle specifiche
previsioni normative in materia (artt. 51, 52 e 54 del r. d. n.2537/25
e artt. 1, 16 e 46 d.p.r. n. 328/01), gli architetti risultano
abilitati unicamente alla sottoscrizione di progetti riferiti ad opere
edilizie ed a carattere accessorio, aventi la finalità di consentire
il collegamento delle stesse con la viabilità “ad esse strettamente
servente”. (Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 11 febbraio 2021, n.
1255)
Distinzione fra soluzioni migliorative e
varianti al progetto a base di gara.
Per “proposte migliorative” vanno intese tutte quelle soluzioni
tecniche che riguardino singole lavorazioni o aspetti dell’opera
“configurandosi come integrazioni, precisazioni e migliorie che
rendono il progetto meglio corrispondente alle esigenze della stazione
appaltante, senza tuttavia alterare i caratteri essenziali delle
prestazioni richieste”.
Per varianti si intendono le “modifiche del progetto dal punto di
vista tipologico, strutturale e funzionale per la cui ammissibilità è
necessaria una previa manifestazione di volontà della stazione
appaltante”. (Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 5 febbraio 2021, n.
1080)
Inapplicabilità al ricorso straordinario
dell’istituto della condanna alle spese processuali e della regola
in base alla quale l’onere del contributo unificato è a definitivo
carico della parte soccombente. (Consiglio di Stato, sez. I,
parere ad.za 27 gennaio 2021, n. 1314)
La suddivisione in scaglioni limita la
disciplina della rotazione agli affidamenti ricompresi nella stessa
categoria
Con la pronuncia in esame il TAR ha chiarito che non sussiste alcun
obbligo di rotazione se la stazione appaltante ha previsto la
distinzione degli appalti per fasce di lavori e l’aggiudicatario si è
aggiudicato un appalto di lavori analogo ma di importo ricadente in
una fascia di valore diverso. (TAR Basilicata, Potenza, sez. I,
sentenza 12 febbraio 2021, n. 125.)
Sull’ammissibilità della modificazione
soggettiva del raggruppamento in fase di gara in caso di perdita
sopravvenuta dei requisiti morali e professionali di cui all’art. 80
del d.lgs. 50/2016.
Il TAR ha analizzato la questione dell’esclusione dell’ATI
aggiudicatario della gara, disposta a causa della presenza in capo
alla mandante delle cause di esclusione di cui all’art. 80, comma 5,
lett. c) e c-ter). La ricorrente, infatti, lamentava l’illegittimità
del provvedimento di esclusione per non aver la stazione appaltante
instaurato un contraddittorio e per non aver consentito all’ATI di
attivare il meccanismo di modificazione soggettiva in fase di gara
previsto dall’art. 48, comma 19-ter.
Il TAR, nell’annullare il provvedimento di esclusione, si è discostato
dall’orientamento restrittivo di cui alla recente pronuncia della sez.
V del Consiglio di Stato (cfr. sentenza n. 833 del 28 gennaio 2021) e
ha, invece, aderito a quanto affermato dalla sez. III (cfr. sentenza
n. 2245 del 2 aprile 2020). In particolare, il TAR ha argomentato
sull’ammissibilità della modificazione soggettiva in caso di perdita
sopravvenuta dei requisiti morali e professionali di cui all’art. 80
del d.lgs. 50/2016 sostenendo, in ossequio al principio del favor
partecipationis, che la “ratio della suddetta novella legislativa, che
è quella di apportare una deroga al principio dell’immodificabilità
alla composizione dei raggruppamenti, al fine di evitare che un intero
raggruppamento sia escluso dalla gara a causa di eventi sopraggiunti
comportanti la perdita dei requisiti di ordine generale da parte di
un’impresa componente. Dunque, l’obiettivo del legislatore è quello di
garantire la partecipazione degli operatori “sani” costituiti in
raggruppamento, evitando che la patologia di un operatore travolga
ingiustamente anche gli altri, salvaguardando al contempo l’interesse
pubblico della stazione appaltante a non perdere offerte utili.”. (TAR
Toscana, Firenze, sez. II, sentenza del 10 febbraio 2021, n. 217.)
In assenza di una specifica previsione
del bando, i costi di sicurezza possono essere indicati quale
frazione dei costi della manodopera, anche non separatamente da
essi. (T.A.R. Lazio, sez. II bis, sentenza 3 febbraio 2021,
1390.)
Condizioni di ammissibilità
dell’avvalimento della certificazione di qualità.
Il Collegio si sofferma preliminarmente sulla natura soggettiva di
tale certificazione e sulla non riconducibilità ai requisiti di
capacità tecnico organizzativa ed economico finanziaria, contemplati
dall’art. 83, comma 1, lett. b) e c) d.lgs. 50/16, in relazione ai
quali il successivo art. 89 consente l’avvalimento.
Da tali premesse, il Tar fa discendere che la certificazione di che
trattasi “è l’attestazione di un “modo di essere” dell’impresa
attinente all’organizzazione e ai processi aziendali di produzione e,
come tale, non può essere “prestato” con l’avvalimento se non a
determinate, ed estremamente rigorose, condizioni.”
È quindi ammesso l’avvalimento della certificazione quando
l’ausiliaria metta a disposizione l’intera organizzazione aziendale
comprensiva di tutti i fattori della produzione e di tutte le risorse
che complessivamente considerate le hanno consentito di acquisire la
certificazione di qualità da mettere a disposizione (Cons. Stato, Sez.
V 27 luglio 2017 n. 3710).
“Il prestito, per essere valido, non può limitarsi all’organizzazione
aziendale ma deve essere accompagnato dalla garanzia che sia proprio
l’organizzazione aziendale dell’impresa ausiliaria che svolga il
lavoro o il servizio cui si era impegnata l’impresa ausiliata. Solo in
questo modo la stazione appaltante può essere sicura che la commessa
venga realizzata da una organizzazione rispettosa delle norme ISO”.
L’avvalimento, in altre parole, deve essere non solo effettivo ma
anche necessariamente complessivo ed integralmente sostitutivo di una
organizzazione di impresa ad un’altra. (TAR Liguria, Genova, sez. I,
sentenza n. 78 del 1° febbraio 2021)
Arbitrato e giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo:
occorre valutare la natura giuridica delle situazioni giuridiche
azionate.
“Al fine di valutare se sia suscettibile di essere compromessa in
arbitri una controversia devoluta alla giurisdizione esclusiva del
giudice amministrativo, in tema di esecuzione degli accordi
integrativi o sostitutivi di provvedimento amministrativo, ai sensi
dell’art. 133 comma 1 lett. a) n. 2 del c.p.a. e già della l. n.
241/1990, art. 11 comma 5 e art. 15 comma 2, […], si deve valutare la
natura delle situazioni giuridiche azionate, le quali sono
compromettibili in arbitri solo se abbiano consistenza di diritto
soggettivo, ai sensi dell’art. 12 c.p.a. (già della l. n.
205/2000, art. 6 comma 2), non invece se abbiano consistenza di
interesse legittimo, come nel caso in esame in cui il privato intende
esercitare poteri di reazione, anche ai fini risarcitori, avverso le
scelte discrezionali operate dall’amministrazione che rendono
inattuabile l’«Accordo» nei termini programmati (nella specie, per
effetto dell’approvazione di un Piano paesaggistico regionale,
ritenuto legittimo dal giudice amministrativo, e della applicabilità
di una disposizione delle NTA contestata dall’impresa) e avverso un
provvedimento di sospensione dei lavori, riferito ad un certo periodo
temporale, annullato dal giudice amministrativo”. (Corte di
Cassazione, Sez. I civile, sentenza 5 febbraio 2021, n. 2738).
ANAC -
Comunicato del Presidente: Corrispettivi a base di gara per le
procedure di affidamento dei servizi attinenti all’architettura e
all’ingegneria.
In data 10 febbraio 2021 è stato pubblicato sul sito dell’ANAC il
comunicato del 3 febbraio 2021, con cui l’Autorità ha fornito
indicazioni alle stazioni appaltanti in materia di corrispettivi a
base d’asta per le procedure di affidamento dei servizi attinenti
all’architettura ed all’ingegneria.
In particolare, è stato chiarito come l’art. 24, comma 8 del D. lgs.
n. 50/2016 (c. d. Codice dei contratti pubblici) non introduca un
obbligo per le stazioni appaltanti di indicare, negli avvisi di gara
per l’affidamento di servizi attinenti all’architettura e
l’ingegneria, i corrispettivi individuati dalle tabelle ministeriali.
Esse potranno determinare liberamente il corrispettivo a base di gara,
purché ciò sia supportato da un’adeguata motivazione rispetto ai
fatti, in grado di giustificare lo scostamento rispetto ai parametri
ministeriali, i quali costituiscono normalmente “il parametro di
riferimento per la stazione appaltante”.
Il
procedimento di verifica dell’anomalia ex art. 97 d.lgs. n. 50/2016 è
“monofasico”, ma l’Amministrazione può richiedere ulteriori
giustificazioni e chiarimenti ovvero di fissare un incontro per
ricevere spiegazioni e chiarimenti. È legittima l’esclusione
dalla gara sulla scorta di motivazioni che non coincidano con
l’oggetto della richiesta di ulteriori giustificazioni, in quanto la
valutazione conclusiva dell’offerta è sempre compiuta alla luce di
tutti gli elementi di cui si compone per cui non vi è alcuna
illegittimità nel fatto che le motivazioni dell’esclusione non
coincidono con l’oggetto della richiesta di giustificazioni.
(Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 1° febbraio 2021, n. 911)
Verifica dell’anomalia dell’offerta: possibile utilizzare parametri
economici attuali, non originariamente adoperati. (Consiglio di Stato,
sez. V, sentenza 20 gennaio 2021, n. 593)
L’avvalimento è un contratto tipicamente oneroso, tuttavia è valido il
contratto di avvalimento che prevede un corrispettivo, anche se
modesto. (T.A.R. Molise, sez. I, sentenza 3 febbraio 2021, n. 31.)
È inapplicabile la delibera CIPE n. 38/2019 alla predisposizione del
Piano Economico Finanziario, se ampiamente successiva al periodo di
gestione preso in considerazione. (T.A.R. Lazio, sez. I, sentenza 2
febbraio 2021, n. 1354.)
È illegittimo il provvedimento di esclusione dalla gara di affidamento
di una concessione mista (lavori/servizi) di un concorrente per
mancanza di un requisito di partecipazione (la qualificazione di
attestazione SOA) in capo all’impresa mandante del costituendo RTI,
laddove le ricorrenti in sede di offerta, avevano dichiarato di
non possedere il requisito di qualificazione richiesto per una parte
dei lavori oggetto del contratto e, pertanto, di volersi avvalere, per
lo svolgimento di tale prestazione, dell’affidamento a terzi ovvero
del subappalto. (T.A.R. Lombardia, sez. IV, sentenza 1° febbraio 2021,
n. 302)
In caso di appalto integrato il progettista indicato non può ricorrere
all’avvalimento ma, se privo dei requisiti, può essere sostituito
senza incorrere in un’ipotesi di modifica non consentita.
Il TAR Lombardia ha confermato l’indirizzo già espresso dall’Adunanza
Plenaria del Consiglio di Stato (sentenza n.13/2020) per cui, in caso
di appalto integrato, il progettista indicato non assume né la veste
formale di “concorrente” né, tantomeno, quella di “operatore
economico” ma agisce semplicemente come “collaboratore”
dell’appaltatore. Sulla scorta di tale principio di diritto, il TAR ha
(i) anzitutto, ribadito il divieto per il progettista indicato di
ricorrere all’istituto dell’avvalimento e (ii) poi, ritenuto che nel
caso in cui quel soggetto risulti privo dei requisiti necessari alla
progettazione, deve esserne ammessa la sostituzione senza adottare
sanzioni espulsive a carico del concorrente. Ciò in applicazione del
principio di proporzionalità, che, ad avviso del TAR, verrebbe
altrimenti leso nel caso in cui si chiamasse il concorrente a
rispondere di fatti che non sono a lui imputabili e non rientrano
nella sfera del suo controllo. (T.A.R. Lombardia, Milano, sez. I,
sentenza 27 gennaio 2021, n. 252)
La verifica di anomalia in ordine al Piano Economico Finanziario di
una concessione di servizi non è equiparabile né a quello formulata in
una finanza di progetto né al giudizio di anomalia proprio delle
offerte di una gara di appalto. (T.A.R. Piemonte, sez. I, sentenza 22
gennaio 2021, n. 73).
È
compatibile con il diritto eurounitario la normativa nazionale che
imponga, a pena di esclusione, ai concorrenti di fornire
spontaneamente la prova dell’intervenuto self-cleaning già in fase
di presentazione della domanda di domanda di partecipazione.
Con la sentenza in esame, la CGUE si è pronunciata sulla compatibilità
con il diritto eurounitario delle disposizioni nazionali (nella
specie, quelle dell’ordinamento belga) che impongono, a pena di
esclusione, che i concorrenti forniscano, già in sede di presentazione
della domanda di partecipazione, la prova di aver adottato efficaci
misure idonee ed elidere l’efficacia ostativa di motivi di esclusione
facoltativa (nella fattispecie si trattava di misure di self-cleaning
relative a pregressi illeciti professionali). La Corte ha statuito che
la legittimità di tali disposizioni nazionali non è compromessa né
dell’art. 57 né dall’art. 59 della Direttiva 2014/24.
La CGUE ha, altresì, osservato che, in applicazione dei principi di
trasparenza e di parità di trattamento, è necessario che gli operatori
economici siano informati in via preventiva, in maniera chiara,
precisa e univoca, dell’esistenza di un siffatto obbligo documentale,
imposto sin dalla fase di presentazione della domanda di
partecipazione a pena d’esclusione. (Corte di Giustizia U.E., Sez. IV,
(Causa C-387/19) sentenza 14 gennaio 2021).
È in contrasto con il diritto
dell’Unione Europea, e va dunque disapplicata, la normativa interna
che preveda una proroga automatica delle autorizzazioni demaniali
marittime per finalità turistico-ricreative, in assenza di una
procedura di selezione tra i candidati.
Con la sentenza in commento, il T.A.R. ha ritenuto legittimo il
provvedimento di diniego adottato dall’Amministrazione a fronte della
domanda di rideterminazione del termine di scadenza della concessione
demaniale marittima per finalità turistico-ricreative formulata dal
ricorrente (proroga per ulteriori 20 anni dal rilascio del titolo).
Ad avviso del Collegio, infatti, il Comune “ha correttamente operato
poiché ha fondato la propria decisione sulla corretta interpretazione
delle fonti europee e nazionali”, e più precisamente, ha correttamente
ritenuto in contrasto con la normativa eurounitaria l’art. 3 comma
4-bis del D.L. n. 400/1993 nella parte in cui la disposizione,
prevedendo una proroga ex lege della data di scadenza delle
autorizzazioni alle concessioni demaniali marittime, ha introdotto
nell’ordinamento italiano un meccanismo di rinnovo automatico
palesemente in contrasto con l’art. 12, par. 2 Direttiva 2006/123.
Per tali ragioni, dopo aver ricostruito approfonditamente la natura
delle concessioni demaniali marittime rilasciate per finalità
turistico-ricreative e la connessa normativa europea, il T.A.R. ha
disapplicato la succitata disposizione, ribadendo la necessità che la
selezione dei candidati potenziali avvenga nel rispetto dei principi
di imparzialità, trasparenza e pubblicità.
N.B. Si veda, contra, T.A.R. Lecce, Sez. I, 27 novembre 2020, n. 1321.
(T.A.R. Lazio, Sez. II, sentenza 15 gennaio 2021, n. 616).
L’aggiudicazione della gara va impugnata
con i motivi aggiunti se è stata già impugnata l’esclusione dalla
procedura.
Con la sentenza in commento il T.A.R. ha enunciato il principio per
cui è inammissibile il ricorso proposto avverso l’aggiudicazione di
una gara se era stato proposto separato ricorso avverso l’esclusione
dalla procedura selettiva, dovendo l’aggiudicazione essere
necessariamente gravata, ai sensi dell’art. 120, comma 7, c.p.a., con
atto di motivi aggiunti. Infatti, con tale disposizione “il
legislatore ha inteso stabilire in via generale e in forma espressa
che tutti i “nuovi” atti o provvedimenti che riguardano la “medesima”
procedura di gara, già interessata da un contenzioso medio tempore
instaurato, “devono” essere impugnati esclusivamente con “ricorso per
motivi aggiunti”. La specifica disciplina dettata dall’art. 120, comma
7, c.p.a. si pone in deroga a quella generale prevista dall’art. 43
c.p.a. secondo cui “i ricorrenti, principale e incidentale, possono
introdurre con motivi aggiunti nuove ragioni a sostegno delle domande
già proposte, ovvero domande nuove purché connesse a quelle già
proposte”.
Pertanto, la regola generale sulla facoltà della proposizione dei
motivi aggiunti avente ad oggetto l’impugnativa di un provvedimento è
sovvertita dall’art. 120, comma 7, c.p.a., nell’ambito delle
controversie sugli “atti delle procedure di affidamento relativi a
pubblici lavori, servizi o forniture”. (T.A.R. Lazio, Sez. II,
sentenza del 15 gennaio 2021, n. 610).
Qualora l’errore nella modulistica
redatta dalla stazione appaltante incida sulla formazione della
volontà dei concorrenti, risulterà necessario annullare la procedura
di gara.
Il Tar Lazio, adito per l’annullamento dell’aggiudicazione definitiva
di una gara di appalto, è stato interpellato per determinare le
conseguenze derivanti dalla presenza di un errore nella modulistica,
predisposta dalla stazione appaltante, idoneo ad incidere sulla
formazione della volontà dei concorrenti.
Conformemente a quanto disposto con precedenti pronunce del Consiglio
di Stato, è stato affermato che risulta indubbiamente meritevole di
tutela l’affidamento che il concorrente riponga nella modulistica
redatta dalla stazione appaltante, anche nelle ipotesi in cui non vi
sia l’obbligo di attenersi ad essa (in tal senso Consiglio di Stato,
Sez. V, 29 aprile 2019, n. 2720 e Consiglio di Stato, Sez. V, 6 agosto
2012, n. 4510).
Non rileva la circostanza che l’errore fosse riconoscibile consultando
una disposizione del Capitolato Tecnico, poiché non sarebbe conforme
ai principi di correttezza, buona fede e tutela della par condicio
“pretendere che il concorrente, che si avvalga per l’elaborazione
dell’offerta di un modulo predisposto dalla stazione appaltante, ne
appuri la conformità in ogni suo aspetto agli altri atti di gara,
ponendo in essere una verifica che – a ben vedere- esula
dall’ordinaria diligenza e sarebbe stato onere della stazione
appaltante eseguire e che, pertanto, non può da quest’ultima essere
addossata all’offerente, finendo altrimenti, costui per subire le
conseguenze del comportamento negligente dell’amministrazione”.
Pertanto, il Tar ha affermato che, in tali ipotesi, risulterà
necessario annullare la gara. (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, sentenza 4
gennaio 2021, n. 17).
I costi
della manodopera di cui all’art. 95, comma 10, del D. lgs. 50/2016
possono essere determinati anche dalla stazione appaltante quando
desumibili oggettivamente, con riferimento alle tariffe medie
praticate nell’ambito territoriale in cui il servizio deve essere
svolto. (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 7 gennaio 2021, n. 221)
Sussiste la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo nelle
controversie aventi ad oggetto l’applicazione di una penale, per
inadempimenti degli obblighi contrattuali, di concessioni di beni
pubblici. Il Consiglio di Stato ha infatti ricordato come l’articolo
133, comma 1, lettera b) c. p. a., che non ammette interpretazioni
estensive, devolva le controversie “aventi ad oggetto atti e
provvedimenti” inerenti alle concessioni di beni pubblici alla
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, lasciando
unicamente alla cognizione del giudice ordinario le controversie
riguardanti le indennità, i canoni e gli ulteriori corrispettivi.
Quindi ogni atto dell’amministrazione che non possa essere ricondotto
in tale eccezione, dovrà essere ascritto alla cognizione del giudice
amministrativo: “ad esso sono dunque devolute le controversie in cui
vi sia una contestazione sull’esatto adempimento della concessione,
come nel presente giudizio”. (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 17
dicembre 2020, n. 8100)
Il Consiglio di Stato ha esplicitato che i chiarimenti devono
ritenersi ammissibili unicamente se attraverso la loro interpretazione
permettono una comprensione chiara del testo, e non, invece, quando
attribuiscano ad “una disposizione del bando un significato ed una
portata diversa e maggiore di quella che risulta dal testo stesso, in
tal caso violandosi il rigoroso principio formale della lex specialis,
posto a garanzia dei principi di cui all’art. 97 Cost.”.
Inoltre ha affermato che i chiarimenti, non avendo carattere
provvedimentale, non possiedono una portata autonomamente lesiva,
pertanto non possono essere direttamente impugnati e che nei casi in
cui l’Amministrazione voglia modificare la disciplina di gara dovrà
procedere in autotutela, annullando gli atti di gara e pubblicando la
lex specialis con un nuovo termine per la presentazione delle offerte.
(Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 15 dicembre 2020, n. 8031)
Inapplicabilità del “principio di
invarianza” in caso di attribuzione dei punteggi relativi
all’offerta economica mediante interpolazione lineare.
L’art. 95, comma15, del D.lgs. n. 50/2016 - che ha sancito il c.d.
“principio di invarianza” - è di stretta interpretazione e trova
applicazione esclusivamente (al calcolo della soglia di anomalia) e
alle ipotesi in cui sia prevista l’applicazione di formule matematiche
che comportino il calcolo di “medie”. Ne consegue che, in caso di
attribuzione dei punteggi relativi all’offerta economica mediante
interpolazione lineare, l’art. 95, co. 15 D.lgs. n. 50/2016 non può
essere invocato per disporre il mero scorrimento della graduatoria a
seguito dell’esclusione del concorrente il quale, avendo offerto il
maggiore ribasso in gara, sia risultato aggiudicatario. In tal caso,
al fine dell’individuazione del miglior offerente rimasto in gara,
occorrerà procedere alla riattribuzione dei punteggi all’offerta
economica e alla redazione di una nuova graduatoria. (T.A.R. Lazio,
Roma, Sez. II bis, sentenza 11 gennaio 2021, n. 311)
L’accesso ai documenti dell’offerta tecnica è ammissibile nei limiti
in cui sia strettamente indispensabile per la tutela in giudizio.
(T.A.R. Campania, Napoli, Sez. II, sentenza 7 gennaio 2021, n.
105)
È possibile procedere al subappalto di una prestazione riservata ad
operatori iscritti all’Albo Nazionale Gestori Ambientali nel caso in
cui gli operatori componenti un raggruppamento temporaneo di imprese
siano privi del relativo requisito di
qualificazione.
Questo sia perché “il ricorso al subappalto necessario non era vietato
dal disciplinare di gara”, sia in ragione del fatto che
“l’integrazione della qualificazione, mediante il subappalto, è
ammessa anche negli appalti di servizi”. (T.A.R. Piemonte, Torino,
Sez. I, sentenza 5 gennaio 2021, n. 9.)
L'errore materiale nella formulazione
dell'offerta può essere rettificato dall'Amministrazione solo se
riconoscibile.
Il Collegio, richiamando anche pacifica giurisprudenza sul punto (cfr.
T.A.R. Toscana, sez. III, 24 luglio 2020, n. 970; Cons. Stato, sez. V,
11 gennaio 2018, n. 113) ha osservato che, fermo restando il principio
di immodificabilità dell'offerta, l'errore materiale può essere
rettificato d'ufficio dall'amministrazione soltanto nell'ipotesi in
cui lo stesso risulti riconoscibile.
Tale riconoscibilità deve comunque essere valutata e valutabile ex
ante. Ciò accade quando l'offerente sia incorso in una svista ictu
oculi rilevabile, senza che siano svolti particolari approfondimenti
e, quindi, in base a semplici e intellegibili operazioni di carattere
matematico (ossia meri interventi di rettifica del dato numerico non
corretto). (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. III-quater, 4 gennaio 2021, n.
62)
Vi è l’obbligo di verificare i costi della manodopera dei concorrenti,
anche qualora non vi siano ipotesi di anomalia.
Il Tar Campania ha chiarito come l’obbligo delle stazioni appaltanti,
ai sensi dell’art. 95, comma 10 D. Lgs. n. 50/2016, di sottoporre
l’offerta dell’impresa aggiudicatrice alla verifica dei costi di
manodopera, debba considerarsi come “una verifica necessaria a
prescindere dall’emersione di situazioni di anomalia dell’offerta”.
(TAR Campania, sezione distaccata Salerno, sez. II, sentenza 21
dicembre 2020, n. 1994.)
In data 18
dicembre 2020 è stata pubblicata la Circolare n. 49/2020 della
Direzione Generale dell’Agenzia Dogane e Monopoli, con cui si
forniscono chiarimenti in merito alle autorizzazioni e agli
adempimenti dichiarativi da soddisfare nelle procedure di esportazione
di merci con Il Regno Unito conseguentemente alla c.d. Brexit.
La suddetta Circolare chiarisce, innanzitutto, che dopo il recesso del
Regno Unito dall’Unione Europea, “non potranno più essere considerate
valide le autorizzazioni rilasciate da questa Agenzia a soggetti
britannici, per le quali sia prevista come condizione dal Codice
Doganale dell’Unione l’essere stabiliti nel territorio doganale della
UE, e dovranno essere altresì rivalutate le decisioni la cui validità
geografica sia comprensiva del Regno Unito” .
Inoltre, l’entrata e l’uscita di merci fra l’Unione Europea ed il
Regno Unito verrà assoggettata alle regole unionali applicabili
riferite ai Paesi Terzi: pertanto, tutte le movimentazioni di merci
tra il territorio doganale dell’Unione e il Regno Unito (ad oggi
soggette alla libera circolazione), dalla data del recesso dovranno
essere vincolate allo specifico regime riferibile all’operazione che
s’intende realizzare, configurandosi – laddove prevista – la necessità
di ottenere una autorizzazione ai sensi dell’art. 211 CDU.
Di seguito inserisco il link per la consultazione integrale della
circolare: DIREZIONE GENERALE DELL’AGENZIA DOGANE E MONOPOLI
È
compatibile con il diritto comunitario la normativa nazionale che
vieta alle amministrazioni aggiudicatrici di affidare concessioni
autostradali scadute o in scadenza facendo ricorso alla procedura
della finanza di progetto. (Corte Di Giustizia U.E., Sez. IX,
ordinanza 26 novembre 2020 (causa C‑835/19))
SPID per la partecipazione alla gara: le problematiche di
identificazione con l’identità digitale non possono ricadere sulla
stazione appaltante nel caso in cui la mancata partecipazione alla
gara della Società non dipenda dal malfunzionamento del sistema
imputabile all’Amministrazione, bensì alla non corretta autenticazione
a mezzo SPID dell’operatore economico. (Consiglio di Stato, sez. V -
sentenza10 dicembre 2020, n. 7910)
La compensazione del DURC irregolare può essere fatta valere in sede
di gara unicamente qualora essa sia stata verifica
dall’Amministrazione e successivamente accettata dal soggetto
debitore. (Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 10 dicembre 2020, n.
7877)
Il termine decennale di prescrizione dell’azione d’ottemperanza può
sempre essere interrotto da atti stragiudiziali. (Consiglio di Stato,
Ad. Pl., sentenza 4 dicembre 2020, n. 24)
Il principio di rotazione non opera se non si raggiunge il numero
minimo previsto dall’avviso pubblico. (Tar Lazio, II, sentenza 9
dicembre 2020, n. 13184)
È perentorio il termine per la presentazione della domanda di
discussione da remoto. (TAR Campania, sez. I, decreto 9 dicembre 2020,
n. 1093)
La clausola di esclusione per gravi violazioni tributarie, prevista
all’art. 80, comma 4, del D.lgs. n. 50/2016, non opera qualora sia
stata approvata l’istanza di rateizzazione precedentemente all’ avvio
della procedura di gara. (Tar Veneto, sez. I, sentenza 7 dicembre
2020, n. 1195)
Avvalimento: il reato di subappalto illecito, non è ascrivibile fra i
“gravi illeciti professionali”, non rientrando tale reato fra le
ipotesi comportanti l’esclusione automatica dalla gara, ex art. 80,
comma 1, del D. Lgs. n. 50 del 2016. (TAR Campania, sez. staccata di
Salerno, sentenza 4 dicembre 2020, n. 1840).
Il 1°
gennaio 2021 entreranno in vigore le modifiche introdotte dal D.lgs. 3
settembre 2020, n. 116 (c.d. Decreto Rifiuti) agli articoli 183, comma
1, lettera b-ter) e 184, comma 2, oltre che agli allegati L-quater e
L-quinquies del D.lgs. 152/2006 (c.d. Testo Unico in materia
ambientale, di seguito “TUA”).
Nel merito, con le suddette modifiche normative è stata inserita ex
novo nel TUA la definizione di rifiuti urbani (art. 183, comma 1,
b-ter) e – coerentemente – è stato rivisto l’elenco dei rifiuti
speciali (art. 184, comma 3); sempre con riferimento alla
classificazione dei rifiuti, nell’articolo 184 è stata inserita la
previsione secondo la quale: “La corretta attribuzione dei Codici dei
rifiuti e delle caratteristiche di pericolo dei rifiuti è effettuata
dal produttore sulla base delle Linee Guida redatte, entro il 31
dicembre 2020, dal Sistema Nazionale per la protezione e ricerca
ambientale e approvate con decreto del Ministero dell’ambiente e della
tutela del territorio e del mare, sentita la Conferenza permanente per
i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e
Bolzano”.
Più in generale, il c.d. Decreto Rifiuti (attuativo di due delle
quattro direttive europee contenute nel c.d. “Pacchetto Economia
Circolare”) ha modificato la Parte Quarta del Testo Unico Ambientale,
rivedendo e ampliando, tra l’altro, la disciplina sulla responsabilità
estesa del produttore (art. 178 bis); prevedendo in un articolo ad
hoc (art. 185 bis) la disciplina del deposito temporaneo prima
della raccolta; modificando l’art. 188; e “confermando” il Registro
elettronico nazionale per la tracciabilità dei Rifiuti (“RenTri”, art.
188-bis) - istituito dal Decreto Legge 14 dicembre 2018, n. 135
(convertito, con modificazioni, dalla legge 11 febbraio 2019, n. 12) –
demandando a uno o più decreti (rectius Regolamenti) l’individuazione
delle modalità di compilazione e tenuta dei registri di carico e
scarico e del formulario di identificazione (FIR).
La procedura di gara indetta nel luglio 2020 per l’acquisto di banchi scolastici è stata legittimamente effettuata in base alle disposizioni introdotte dal Decreto Semplificazioni (d. l. n. 76/2020); in particolare essendo tale procedura caratterizzata dalla necessità di osservare la massima celerità e flessibilità, in considerazione dei rilevanti interessi pubblici ad essa sottesi. (Tar Lazio, Sez. I quater, sent. 9 ottobre 2020, n. 10268)
Non può ritenersi contrastante con il diritto comunitario l’attuale limite al subappalto pari al 40% delle opere, previsto dall’art. 1, comma 18, della legge n. 55/2019 infatti , la Corte di Giustizia dell’Unione Europea nella sentenza 27 novembre 2019, C – 402/18 e 26 settembre 2019 C – 63/18, pur avendo censurato il limite al subappalto previsto dal diritto interno nella soglia del 30% dei lavori, non ha escluso la compatibilità con il diritto dell’Unione di limiti superiori. (Tar Lazio, Roma, Sez. III quater, sent. 3 novembre 2020, n. 11304).
Con l’art.
17 del Decreto Legge n. 149/2020 (c.d. “Decreto Ristori Bis”, in
vigore dal 9 novembre 2020) sono stati sostituiti e/o modificati gli
Allegati XLVII e XLVIII del Testo Unico per la sicurezza sul lavoro
(D. Lgs. n. 81/08).
Nello specifico, quanto al (nuovo) Allegato XVLII “Indicazioni su
misure e livelli di contenimento” vengono elencate le misure di
contenimento che andranno attuate in base alla natura delle attività,
alla valutazione del rischio per i lavoratori e alla natura
dell’agente biologico considerato, modulando i livelli di intervento a
seconda dei livelli di contenimento; in esso, inoltre, viene indicato:
(i)
in quali casi il luogo di lavoro debba essere sigillato in modo tale
da consentirne la fumigazione;
(ii)
che si dovranno adoperare superfici facili da pulire non unicamente
per i banconi ma anche per i pavimenti;
(iii)
che lo stoccaggio debba sempre avvenire in condizioni di sicurezza, a
qualunque livello di contenimento.
Nel successivo Allegato XLVIII “Contenimento per i processi
industriali” (modificato nell’intera sua seconda parte) viene indicato
che potrebbe essere opportuno combinare tra loro le prescrizioni di
contenimento delle diverse categorie sulla base di una valutazione del
rischio connesso ad un particolare processo o a una parte di esso.
In entrambi gli Allegati, infine, si precisa che, laddove venga
utilizzato il termine “raccomandato”, in linea di principio la
misura dovrebbe essere applicata, ad eccezione dei casi in cui gli
esiti della valutazione del rischio risultino in contrasto con tale
indicazione.
Una
recente sentenza della Corte di Cassazione penale, sez. IV, (6 ottobre
2020, n. 29442) si è pronunciata in tema di responsabilità del
datore di lavoro per omessa cooperazione all’attuazione delle misure
di prevenzione e protezione dei rischi sul lavoro nel caso in cui
siano implicate più imprese e/o lavoratori autonomi che rivestono la
qualità di datore di lavoro (violazione dell’art. 26, comma 2, lett a)
e b) d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81).
Il caso affrontato dalla Suprema Corte ha coinvolto tre società, i cui
rappresentanti legali erano imputati nel procedimento penale a loro
carico. In particolare, si trattava (i) di una società che aveva in
gestione un teatro, (ii) un’altra che si occupava della messa in scena
dello spettacolo e (iii) la terza era una società cooperativa che
aveva in subappalto i lavori di facchinaggio necessari per
l’allestimento del teatro (e alle cui dipendenze lavorava il soggetto
offeso). All’interno del teatro, inteso come luogo di lavoro, le tre
società cooperavano, ciascuna nel proprio ruolo, alla messa in scena
dello spettacolo.
Un operaio, dipendente della subappaltatrice addetta ai lavori di
facchinaggio, cadeva dalla passarella che attraversava la buca
d’orchestra mentre trasportava un baule pesante. La scarsa
illuminazione e l’assenza di solidi parapetti a protezione della
passerella rendevano inevitabile la caduta del lavoratore, che
riportava gravi lesioni.
La Corte di Cassazione ha affermato che il sistema di sicurezza
aziendale costituisce un procedimento di programmazione della
prevenzione globale dei rischi. Di conseguenza, in esso va ricompresa
anche la gestione dei rischi in caso di affidamento di lavori a
singole imprese appaltatrici o a lavoratori autonomi. Come afferma
inoltre l’ormai consolidato orientamento giurisprudenziale, se i
titolari della posizione di garanzia sono più di uno, ciascun garante
risulta per intero destinatario dell’obbligo di impedire l’evento fino
al momento in cui non si esaurisca il rapporto che ha originato la
singola porzione di garanzia.
Inoltre, secondo quanto stabilito dall’art. 26, comma 2, lett a) e b)
del D.lgs. 81/2008, la prevenzione dei rischi connessi all’attività
lavorativa deve basarsi su:
- una cooperazione
all’attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi sul
lavoro e
- un coordinamento degli
interventi di protezione e prevenzione, compiuto mediante la
informazione reciproca anche al fine di eliminare i rischi dovuti alle
interferenze tra i lavori delle diverse imprese coinvolte
nell’esecuzione dell’opera complessiva.
La Cassazione, respingendo i ricorsi e riconfermando le
condanne, ha infine stabilito che quando un obbligo di
intervenire per impedire un evento ricade su più persone che debbono
intervenire in momenti diversi, il nesso di causalità tra la condotta
omissiva o commissiva del titolare di una posizione di garanzia non
viene meno per l’effetto del successivo mancato intervento da parte di
un altro soggetto, destinatario anch’egli di un obbligo di impedire
l’evento, configurandosi un concorso di cause ex art. 41 c.p.
Perimetro
di sicurezza nazionale cibernetica – Regolamento attuativo
Il 5 novembre 2020 entra in vigore il Decreto del Presidente del
Consiglio dei Ministri 30 luglio 2020, n. 131 (di seguito “DPCM”),
pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 21 ottobre 2020, con il quale
vengono introdotte disposizioni attuative in materia di perimetro di
sicurezza nazionale cibernetica.
Nel DPCM, da intendersi quale Regolamento “attuativo” del Decreto
Legge 21 settembre 2019, n. 105 (“Disposizioni urgenti in
materia di perimetro di sicurezza nazionale cibernetica), come
convertito dalla Legge 18 novembre 2019, n. 133:
> è contenuta la definizione di “pregiudizio per la sicurezza
nazionale” (art. 1, comma 1, lett. f) e quella di “bene ICT”
(identificato all’art. 1, comma 1, lettera m) quale “un insieme di
reti, sistemi informativi e servizi informatici, o parti di essi, di
qualunque natura, considerato unitamente ai fini dello svolgimento di
funzioni essenziali dello Stato o per l’erogazione di servizi
essenziali);
> sono indicati come “soggetti che esercitano funzioni
essenziali e servizi essenziali” coloro ai quali l’ordinamento ha
attribuito compiti “rivolti ad assicurare la continuità dell’azione
del Governo e degli Organi Costituzionali, la sicurezza interna ed
esterna e la difesa dello Stato, le relazioni internazionali, la
sicurezza e l’ordine pubblico, l’amministrazione della giustizia, la
funzionalità dei sistemi economico e finanziario e dei trasporti”
(art. 2, comma 1, lettera a). Oltre ad essi, si considerano “soggetti
che esercitano funzioni essenziali e servizi essenziali” i soggetti
(pubblici o privati) che prestano un servizio essenziale “per il
mantenimento delle attività civili, sociali o economiche fondamentali
per gli interessi dello Stato” (articolo 2, comma 1, lettera b) e gli
Organi Costituzionali (articolo 2, comma 2);
> all’articolo 3 del DPCM vengono individuati i settori di
attività interessati dalla normativa relativa al perimetro di
sicurezza cibernetica (governativo, interno, difesa, spazio e
aerospazio, energia, telecomunicazioni, economia e finanza, trasporti,
servizi digitali, tecnologie critiche, enti previdenziali/lavoro);
> è previsto che le pubbliche amministrazioni che agiscono
nei singoli settori di attività di cui sopra contribuiscano ad
individuare – mediante un successivo atto amministrativo che sarà
emanato dal Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del
Comitato Interministeriale per la Sicurezza della Repubblica (CISR) –
i soggetti inclusi nel perimetro di Sicurezza nazionale cibernetica.
L’individuazione di detti soggetti verrà loro comunicata dal
Dipartimento delle informazioni per la sicurezza della Presidenza del
Consiglio dei ministri (DIS) entro trenta giorni dall’iscrizione nel
relativo elenco; in detta comunicazione verrà specificato il servizio
essenziale in forza del quale è avvenuta la loro individuazione.
Gli enti interessati dalla normativa in commento dovranno predisporre
e aggiornare annualmente l’elenco dei beni ICT, fornendo l’indicazione
delle reti, dei sistemi informativi e dei servizi informatici
(articolo 7 del DPCM); la descrizione dell’architettura e della
componentistica dei beni ICT, inoltre, andrà effettuata in conformità
al modello che verrà predisposto dal Dipartimento delle informazioni
per la sicurezza della Presidenza del Consiglio (art. 8 del DPCM).
Infine, l’art. 9 del DCPM prevede che, entro sei mesi dalla ricezione
della comunicazione dell’iscrizione nell’elenco, i soggetti inclusi
nel perimetro di sicurezza nazionale cibernetica dovranno trasmettere
alla struttura della Presidenza del Consiglio competente per
l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione e al Ministero dello
sviluppo economico gli elenchi dei beni ICT, unitamente alla
descrizione effettuata in conformità alle disposizioni contenute
nell’art. 8 del medesimo DPCM.
(Conversione in legge, con modificazioni, del decreto- legge 14 agosto
2020, n. 104, recante misure urgenti per il sostegno e il rilancio
dell’economia): disposizioni in materia societaria.
Il 13 ottobre 2020 è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale, Serie
Generale n. 253, la legge n. 126 di conversione del decreto- legge 14
agosto 2020, n. 104, recante misure urgenti per il sostegno e il
rilancio dell’economia.
In essa è stata confermata la disposizione introdotta all’art. 71, la
quale prevede che - per quanto concerne le modalità di svolgimento
delle assemblee delle società per azioni, delle società a
responsabilità limitata, delle società cooperative e delle mutue
assicuratrici convocate entro il 15 ottobre 2020 - continueranno ad
applicarsi le previsioni stabilite all’art. 106, commi dal 2 al 6, del
d. l. 18/2020, convertito dalla legge n. 27/2020.
Nello specifico, fino a tale data, con l’avviso di convocazione delle
assemblee ordinarie o straordinarie di tali società, sarà possibile
stabilire la possibilità che il voto venga espresso in via elettronica
o per corrispondenza, oltre alla possibilità di intervenire e
partecipare alla riunione attraverso mezzi di telecomunicazione.
Inoltre le assemblee potranno svolgersi esclusivamente tramite mezzi
di telecomunicazione, sempre che sia possibile l’identificazione dei
partecipanti e venga garantito il loro diritto al voto in conformità
alle disposizioni del codice civile, senza la necessità che il
presidente, il segretario o il notaio si trovino nello stesso luogo.
Infine, le società a responsabilità limitata possono consentire che il
voto venga espresso attraverso consultazione scritta o per consenso
per iscritto, in deroga a quanto previsto all’art. 2479, quarto comma,
cod. civ.
Con una
recente ordinanza (3 settembre 2020 n. 18288) la seconda Sezione della
Corte di Cassazione Civile ha affermato il principio del cumulo
materiale delle sanzioni amministrative previste dagli artt. 162,
comma 2-bis, e 164-bis, comma 2, del D.lgs. 30 giugno 2003, n. 196 (di
seguito il “Codice Privacy”), disposizioni comunque abrogate dal
D.lgs. 101/2018, adottato a seguito dell’entrata in vigore del
Regolamento UE 2016/679 (c.d. “GDPR”).
Nel 2013 il Garante per la protezione dei dati personali ha sanzionato
una società per plurime condotte vietate dal Codice Privacy.
Più precisamente, l’Autorità Garante ha accertato – in primo luogo -
la violazione dell’articolo 162, comma 2-bis, del Codice Privacy, per
non aver la società di cui sopra adottato le misure minime previste
dagli articoli 34 e 35 del predetto Codice per i trattamenti con
strumenti elettronici e per quelli senza l’ausilio di strumenti
elettronici (ovvero, rispettivamente, l’autenticazione informatica,
l’adozione di procedure di gestione delle credenziali di
autenticazione, l’utilizzazione di un sistema di autorizzazione, ecc.
per gli uni; l’aggiornamento periodico dell'individuazione dell'ambito
del trattamento consentito ai singoli incaricati o alle unità
organizzative, la previsione di procedure per un'idonea custodia di
atti e documenti affidati agli incaricati per lo svolgimento dei
relativi compiti, ecc. per gli altri) e aver posto in essere, quindi,
un trattamento illecito dei dati.
Secondariamente, è stata accertata l’ulteriore violazione dell’art.
164 del Codice Privacy, non avendo la società tempestivamente
riscontrato la richiesta di informazioni formulata dal Garante;
infine, avendo la Società violato anche le disposizioni dettate con
riferimento a “banche dati di particolare rilevanza o dimensioni”, il
Garante ha ritenuto che fosse stata integrata la fattispecie di cui
all’all’art. 164-bis, comma 2 del Codice Privacy.
A seguito di impugnazione del provvedimento di condanna da parte della
società, il Tribunale di Roma ha annullato la sanzione comminata ai
sensi dell’art. 162, comma 2-bis del Codice Privacy, ritenendola
assorbita da quella prevista dall’art. 164-bis del Codice Privacy;
l’Autorità Garante, però, ha proposto ricorso per cassazione avverso
la sentenza del Tribunale di Roma, sostenendo l’autonomia delle due
fattispecie.
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in commento e accogliendo il
ricorso del Garante per la protezione dei dati personali, ha affermato
il cumulo materiale delle sanzioni amministrative disposte dagli artt.
162, comma 2-bis e 164-bis, comma 2, del Codice Privacy, costituendo
esse figure di illecito tra loro autonome e distinte.
Il Garante
della Privacy, con provvedimento 163 del 17 settembre 2020, si è
espresso favorevolmente in merito alla proposta di modifica del
regolamento recante le modalità per la realizzazione dello SPID
(attuativo dell’art. 4, comma 2, DPCM 24 ottobre 2014) formulata dall’
AgID (Agenzia per l’Italia Digitale) con la nota del 6 luglio 2020,
approvando la nuova modalità per l’identificazione da remoto del
richiedente l’identità digitale.
Tale nuova modalità di identificazione da remoto non richiederà più la
contestuale presenza del richiedente l’identità digitale (SPID) e
dell’operatore del gestore: infatti, il richiedente, dopo aver
eseguito una procedura di registrazione online, effettuerà una
sessione audio- video durante la quale mostrerà i documenti di
riconoscimento e il proprio codice fiscale, confermerà vari dati
precedentemente indicati in fase di registrazione e ribadirà la
volontà di attivare la SPID.
Il procedimento si concluderà con l’esecuzione di un bonifico, con
IBAN italiano, intestato o cointestato al richiedente, nella cui
causale andrà indicato un codice specifico, precedentemente ricevuto,
che consentirà di abbinare il richiedente al pagamento in
questione. Tutte le informazioni e le registrazioni audio-video
verranno poi verificate dagli operatori in back-office al fine del
successivo rilascio dell’identità digitale.
E’ previsto un periodo transitorio di 6 mesi durante il quale l’AgID
trasmetterà al Garante un report circa l’esito delle verifiche
effettuate, al fine di valutare l’efficacia di queste tipologie di
controllo di secondo livello. Inoltre, l’AgID avrà l’obbligo di
inviare al Garante report settimanali nei quali segnalerà i casi di
criticità riscontrati qualificabili come tentativi fraudolenti di
carpire identità digitali. Tali dati potranno essere utili al Garante
che potrà effettuare ulteriori accertamenti e valutare la
necessità di adottare ulteriori misure tecniche e organizzative per
rafforzare il procedimento di identificazione da remoto.
In data 15
Settembre 2020 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 229, il
Decreto Legislativo n. 122/2020, attuativo della Direttiva UE 2018/957
in materia di distacco transnazionale dei lavori nell’ambito di una
prestazione di servizi, il quale ha apportato modifiche al D. lgs. n.
136/2016 (Attuazione della direttiva 2014/67/UE del Parlamento europeo
e del Consiglio, del 15 maggio 2014, concernente l'applicazione della
direttiva 96/71/CE relativa al distacco dei lavoratori nell'ambito di
una prestazione di servizi e recante modifica del regolamento (UE) n.
1024/2012 relativo alla cooperazione amministrativa attraverso il
sistema di informazione del mercato interno («regolamento IMI»)”.
Fra le principali modifiche introdotte si segnala:
- L’introduzione, all’art.
1, del comma 2- bis il quale ha esteso l’applicazione del D. Lgs. n.
136/2016 anche alle agenzie di somministrazione di lavoro stabilite in
uno Stato membro diverso dall’Italia, le quali, nell’ambito di una
prestazione transnazionale di servizi, abbiano distaccato un
lavoratore presso un’utilizzatrice con sede nel medesimo o in un altro
Stato membro, inviato poi presso una propria unità produttiva o
impresa che ha sede in Italia. In tale circostanza i lavoratori
verranno considerati distaccati in Italia dall’agenzia di
somministrazione. Inoltre le disposizioni del D. Lgs. n.
136/2016 troveranno applicazione anche alle agenzie di
somministrazione di lavoro stabilite in uno Stato membro diverso
dall’Italia, che effettuino il distacco di uno o più lavoratori presso
un’impresa utilizzatrice con sede in Italia, da quest’ultima a sua
volta inviati nel territorio di un altro Stato membro diverso da
quello dell’agenzia di somministrazione. Il lavoratore si considera
altresì distaccato (in virtù della nuova lettera d) aggiunta all’art.
2 comma 1 del D. Lgs. 136/2016) anche qualora in quest’ultimo caso
l’agenzia di somministrazione ha sede in Italia. La normativa, molto
complessa, vuole dare un contributo alla disciplina dei casi di
rapporti di lavoro in cui siano coinvolti tre soggetti (agenzia
interinale, impresa utilizzatrice e terza impresa).
- È stato sostituito
l’intero comma 1 dell’art. 4; ai rapporti fra le imprese e i
lavoratori distaccati si applicano durante il periodo del distacco, se
più favorevoli, le medesime condizioni di lavoro e di occupazione
previste in Italia da disposizioni normative e contratti collettivi,
in alcune specifiche materie, fra cui: periodi massimi di lavoro e
periodi minimi di riposo, durata dei congedi annuali retribuiti,
salute e sicurezza dei luoghi di lavoro, parità di trattamento,
indennità o rimborsi a copertura delle spese di viaggio.
- In materia di rimborso
spese nel distacco è stato introdotto all’art. 4, il comma 1- bis,
secondo cui sono considerate parte della retribuzione le indennità
riconosciute al lavoratore per il distacco che non sono versate a
titolo di rimborso spese di viaggio, vitto e alloggio effettivamente
sostenute a causa del distacco. Qualora la disciplina nazionale non
stabilisca se alcuni elementi delle indennità siano corrisposti a mero
titolo di rimborso spese o se fanno parte della retribuzione, l’intera
indennità percepita dal lavoratore distaccato sarà considerata quale
rimborso spese.
- Infine, il nuovo art. 4-
bis del D.Lgs. 136/2016 introduce il cosiddetto “distacco di
lunga durata” . Posto che la durata massima del distacco - ridotta in
virtù della Direttiva 2018/957 – è di 12 mesi, è prevista la
possibilità di una estensione di ulteriori 18 mesi con notifica
motivata al Ministero del lavoro e delle politiche sociali da parte
del prestatore di servizi. La durata complessiva del distacco
viene ricostruita sommando tutti i periodi di lavoro prestati dal
singolo lavoratore. Ai sensi dell’art. 4-bis, in caso di distacco
superiore ai 12 mesi, oltre alle condizioni di lavoro più favorevoli
di cui all’art. 4, 1 comma, si applicheranno tutte le condizioni di
lavoro ed occupazione previste in Italia da disposizioni normative e
contratti collettivi ad eccezione di quelle inerenti: la
previdenza integrativa di categoria, le clausole di non concorrenza e
le procedure per la conclusione e cessazione del contratto di lavoro.
Il 18
agosto è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il Regolamento
adottato dall’ANAC con delibera in data 1° luglio 2020, in materia di
“gestione delle segnalazioni e per l’esercizio del potere
sanzionatorio in materia di tutela degli autori di segnalazioni di
illeciti o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza nell’ambito
di un rapporto di lavoro di cui all’articolo 54- bis del decreto
legislativo n. 165/2001”.
L’ANAC è, infatti, una delle autorità a cui, ai sensi della Legge 30
novembre 2017 n. 179, possono essere segnalate condotte illecite da
parte del dipendente pubblico, come inteso dal 2° comma dell’articolo
54-bis del D.lgs. 165/2001 (così come modificato dall’art. 1 della
citata L. 179/2017), rientrando quindi in tale definizione anche “i
lavoratori e i collaboratori delle imprese fornitrici di beni o
servizi e che realizzano opere in favore dell’amministrazione
pubblica”.
Il Regolamento, entrato in vigore il 2 settembre 2020, si applica ai
procedimenti avviati successivamente a tale data e disciplina:
- la gestione delle segnalazioni
- l’accertamento di eventuali comportamenti ritorsivi
- l’accertamento del mancato svolgimento da parte del responsabile
delle attività di verifica e analisi delle segnalazioni
- l’accertamento dell’assenza o non conformità di procedure per
l’inoltro e la gestione delle segnalazioni
Ai sensi dell’articolo 4 del Regolamento il potere sanzionatorio,
conferito all’Autorità in materia, potrà essere esercitato d’ufficio
qualora si accerti uno o più delle violazioni indicate e si prevede
che le comunicazioni e le segnalazioni devono essere inoltrate
all’Autorità attraverso il modulo della piattaforma informatica
disponibile sul sito istituzionale dell’ANAC, il quale assicura
adeguati strumenti di crittografia e riservatezza dell’identità del
segnalate e del contenuto della segnalazione.
Con
Circolare n. 22 emessa in data 20 maggio 2020, l’INAIL ha fornito
alcuni importanti chiarimenti in merito alla responsabilità del datore
di lavoro e tutela infortunistica per i casi accertati di infezione da
Coronavirus in occasione di lavoro.
Oltre alla Circolare dell’ INAIL del 13 aprile 2020 sempre in materia,
l’art. 42, comma 2 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18
(il così detto “Cura Italia”, convertito con legge n. 27 /2020)
aveva chiarito che l’infezione da COVID-19 è tutelata dall’INAIL quale
“infortunio sul lavoro” al pari di ogni infezione da agenti biologici
contratta in occasione di lavoro.
In particolare, la Circolare 22/2020 ( di seguito la “Circolare”) ha
precisato che:
- la causa
“virulenta” viene equiparata alla causa “violenta” propria
dell’infortunio e, quindi, le patologie infettive contratte in
occasione di lavoro sono sempre inquadrate e trattate come infortunio
sul lavoro;
- l’indennità
per inabilità temporanea assoluta comprende anche il periodo di
quarantena o di permanenza domiciliare fiduciaria, sempre che il
contagio sia riconducibile all’attività lavorativa;
- gli oneri
degli eventi infortunistici da contagio sono posti a carico della
gestione assicurativa nel suo complesso e non comportano maggiori
oneri per le imprese.
ACCETAMENTO DELL’INFORTUNIO DA CONTAGIO COVID-19 – RESPONSABILITA’ DEL
DATORE DI LAVORO
Chiarito che sono tutelati tutti i lavoratori assicurati con l’INAIL
che abbiano contratto il contagio in occasione di lavoro, la Circolare
richiama le Linee guida n. 784/1995 per la trattazione delle
malattie infettive che si basano su due principi fondamentali:
1. è considerata causa violenta
anche l’azione di fattori microbiotici e virali contratti nello
svolgimento dell’attività lavorativa;
2. la prova del dell’avvenuto
contagio per motivi professionali può avvenire anche attraverso
presunzioni, per cui l’evento può essere “desunto” come conseguenza
ragionevole, probabile e verosimile secondo un criterio di normalità
(presunzione semplice).
Un concetto fondamentale che l’INAIL ha voluto evidenziare, per
sgombrare il campo dalle recenti interpretazioni allarmistiche, è che
non può desumersi alcun automatismo tra l’ammissione a tutela
dei casi denunziati e la responsabilità del datore di lavoro.
Gli indizi devono essere sempre gravi, precisi e concordanti , ferma
restando la possibilità di prova contraria dell’INPS, che procederà
con verifiche rigorose.
Il riconoscimento dell’origine professionale del contagio non potrà
che fondarsi su:
a) un giudizio di ragionevole
probabilità
b) avulso da ogni valutazione in ordine
all’imputabilità di eventuali comportamenti omissivi in capo al datore
di lavoro che possano aver causato il contagio.
In sostanza, il riconoscimento al diritto alle prestazioni da parte
dell’INAIL non ha alcun rilievo in ordine alle responsabilità in sede
civile e penale del datore di lavoro. Le due cose non sono e non
devono essere collegate. Rimane sempre necessario l’accertamento
della colpa del datore di lavoro per poter determinare eventuali
responsabilità di natura civile o penale.
Pertanto, scrive l’INAIL, “la responsabilità del datore di lavoro è
ipotizzabile solo in caso di violazione della legge o di obblighi
derivanti dalle conoscenze sperimentali o tecniche che nel caso
dell’emergenza epidemiologica da COVID-19 si possono rinvenire nei
protocollo e nelle linee guida governativi e regionali di cui
all’art. 1, comma 14 del D.L. n. 33”.
Ribadisce l’INAIL che, anche per consolidato orientamento
giurisprudenziale della Corte di Cassazione, non è richiesto al datore
di lavoro di garantire un “rischio zero” negli ambienti di lavoro ma
solo l’applicazione puntuale della normativa e dei protocolli si
sicurezza in vigore, permanendo l’indipendenza logico-giurdica
del piano assicurativo da quello di accertamento giudiziario di
eventuali colpe e responsabilità, in sede civile o penale, del datore
di lavoro.
In assenza di una comprovata violazione delle misure di
contenimento del contagio da COVID-19, scrive l’INAIL, sarebbe molto
difficile ipotizzare e dimostrare la colpa del datore di lavoro.
L’INAIL
(Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul
lavoro) ha elaborato un documento tecnico in vista della c.d.
Fase 2 - durante la quale dovrebbe avvenire la graduale riapertura
dell’attività produttive e commerciali-, attualmente all’esame
dell’Ufficio di Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Il documento si compone principalmente di due parti: nella prima viene
definito l’ambito di rischio di alcuni settori lavorativi (classi di
rischio: “BASSO”; “MEDIO-BASSO”; “MEDIO-ALTO”; “ALTO”) e si individua
in quale di questi ambiti di rischio ricadono i lavoratori dei vari
settori di attività (in base anche ai codici ATECO); nella seconda
parte, invece, vengono dettate alcune linee generali di contenimento
del rischio sui luoghi di lavoro.
La tabella relativa alle classi di rischio elaborata dall’INAIL
(contenuta documento) prende in considerazione tre fattori:
1. l’esposizione (la probabilità di
venire in contatto con fonti di contagio nello svolgimento delle
specifiche attività lavorative);
2. la prossimità (le caratteristiche
intrinseche di svolgimento del lavoro che non permettono un
sufficiente distanziamento sociale per parte del tempo di lavoro o per
la quasi totalità);
3. l’aggregazione (la tipologia di
lavoro che prevede il contatto con altri soggetti oltre ai lavoratori
dell’azienda) e che serve quale fattore di correzione del combinato
disposto dei primi due fattori.
La seconda parte del documento (da pagina 5: “Strategie di
previsione”) contiene numerose e interessanti indicazioni operative,
tra le quali quelle relative a:
- la “necessità di adottare
una serie di azioni che vanno ad integrare il documento di valutazione
dei rischi (DVR) atte a prevenire il rischio di infezione SARS-CoV-2
nei luoghi di lavoro” (cfr. pag. 6) ;
- la gestione degli spazi di
lavoro, che dovranno essere rimodulati per garantire il rispetto della
distanza interpersonale di un metro e che dovranno prevedere la
ventilazione continua; l’organizzazione e l’orario di lavoro (al fine
di prevenire assembramenti all’entrata e all’uscita, anche mediante la
flessibilità di orari); la valorizzazione del lavoro a distanza
(soprattutto per le attività di supporto gestionale/amministrativo);
- le misure di prevenzione e
protezione (soprattutto l’attività di informazione e formazione dei
dipendenti, “con particolare riferimento al complesso delle misure
adottate cui il personale deve attenersi”);
- le misure igieniche e di
sanificazione degli ambienti;
- l’utilizzo di mascherine e
dispositivi di protezione individuali (DPI) per le vie respiratorie;
- la sorveglianza sanitaria
a tutela dei lavoratori fragili (si suggerisce, tra l’altro, di
valutare se introdurre in azienda la c.d. “sorveglianza sanitaria
eccezionale”, da effettuare sui lavoratori con età superiore a 55 anni
o su lavoratori anche più giovani ma che ritengano di rientrare, per
condizioni patologiche, in una situazione di maggior pericolo);
- il reintegro progressivo
dei lavoratori dopo l’infezione da SARS-CoV-2;
- la prevenzione
dell’attivazione di focolai epidemici (mediante, per esempio,
l’adozione di una procedura di controllo della temperatura corporea
sui lavoratori, prima dell’accesso ai luoghi di lavoro e secondo le
modalità contenute nel Protocollo condiviso di regolamentazione delle
misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus
Covid-19 negli ambienti di lavoro del 14 marzo 2020).
Il
D.L. n. 18/2020 (“Misure di potenziamento del Servizio sanitario
nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese
connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-1”, c.d. “Decreto
Cura-Italia”) - pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Serie Generale n.
70 del 17 marzo 2020 e in vigore dal giorno stesso – ha introdotto
alcune novità normative in materia di diritto societario.
Nello specifico, l’art. 106 del Decreto Cura Italia prevede che, in
deroga all’art. 2364, comma 2, c.c. (dettato in materia di società per
azioni) e all’art. 2478-bis c.c. (dettato in materia di società a
responsabilità limitata), l’assemblea ordinaria dei soci per
l’approvazione del bilancio sia convocata entro 180 giorni dalla
chiusura dell’esercizio.
Inoltre, il comma 2 dell’art. 106 del Decreto Cura Italia precisa che,
con l’avviso di convocazione delle assemblee ordinarie o
straordinarie, “le società per azioni, le società in accomandita per
azioni, le società a responsabilità limitata, e le società cooperative
e le mutue assicuratrici possono prevedere, anche in deroga alle
diverse disposizioni statutarie, l’espressione del voto in via
elettronica o per corrispondenza e l’intervento all’assemblea mediante
mezzi di telecomunicazione”.
Le società di cui sopra, inoltre,
possono prevedere che l’assemblea si svolga, anche esclusivamente,
mediante mezzi di telecomunicazione che garantiscano comunque (i)
l’identificazione dei partecipanti, (ii) la loro partecipazione e
(iii) l’esercizio del diritto di voto, senza la necessità che si
trovino nello stesso luogo, ove previsti, il presidente, il segretario
o il notaio.
Tali disposizioni si applicano alle assemblee convocate entro il 31
luglio 2020 (ovvero entro la data, se posteriore, fino alla quale sarà
in vigore lo stato di emergenza dichiarato lo scorso 31 gennaio 2020 e
relativo al “rischio sanitario connesso all’insorgenza della epidemia
da COVID-19”).
Avv. Francesca Caporale
In data
14 marzo 202 è stato adottato un Protocollo condiviso di
regolamentazione per il contrasto ed il contenimento della diffusione
del virus Covid-1 negli ambienti di lavoro, firmato il 14 marzo u.s.
con particolare riferimento agli ingressi in azienda del personale.
Il Protocollo ha come obiettivo quello di fornire indicazioni e
raccomandazioni volte ad incrementare le misure precauzionali
adottate dal Governo, da ultimo con DPCM dell’11 marzo u.s., per il
contenimento del così detto Coronavirus.
Tra le tante indicazioni contenute dal Protocollo vi sono utili
disposizioni sulla questione relativa alla possibilità per il datore
di lavoro di controllare la temperatura corporea dei dipendenti in
ingresso in azienda. Infatti, a fronte del recente parere del Garante
privacy che aveva ritenuto illegittima tale procedura in assenza di un
provvedimento legislativo che lo consentisse (e quindi in assenza di
una base giuridica di tale trattamento di dati sanitari), il
Protocollo contiene regole specifiche relative alle modalità di
ingresso in azienda.
In particolare:
- sarà possibile procedere
al controllo della temperatura corporea del personale prima
dell’accesso in azienda;
- qualora la temperatura
dovesse superare i 37.5 ° non sarà consentito l’accesso ai luoghi di
lavoro;
- non sarà necessario
registrare tutte le rilevazioni ma solo quelle positive;
- occorrerà adottare tutte
le cautele del caso per garantire la massima riservatezza del personal
anche ai fini del Reg. UE 2016/679, tra cui:
o un’apposita informativa sul trattamento dei dati
sanitari in questione, in cui sarà possibile omettere i dati già
conosciuti dall’interessato; è preferibile che tale informativa, che
può essere anche orale, venga fatta per iscritto (ad esempio
apponendola all’ingresso dell’azienda); tra le finalità del
trattamento potrà essere indicata la prevenzione del Coronavirus,
mentre la base giuridica è l’implementazione dei protocolli di
sicurezza anti-contagio ai sensi del DPCM dell1 marzo 2020;
o nomina di autorizzati incaricati al trattamento di tali
dati;
o in caso di isolamento temporaneo per superamento della
soglia di temperatura, assicurare modalità tali da garantire la
riservatezza e la dignità del lavoratore;
- il datore di lavoro
informa preventivamente il personale e chi intende fare ingresso in
azienda, del divieto di accesso per coloro che negli ultimi 14 giorni
abbiano avuto contatti con soggetti risultati positivi al Coronavirus
o provenga da zone a rischio.
Nel caso di presenza di persona in azienda con febbre e/o
sintomi di infezione respiratoria (quali la tosse), lo si deve
dichiarare immediatamente all’ufficio del personale, procedere al suo
isolamento e l’azienda procede immediatamente ad avvertire le autorità
sanitarie competenti ed i numeri di emergenza COVID-19 forniti dalla
Regione o dal Ministero della salute.
Avv. Grazia Quacquarelli, LL. M.
E’
stata pubblica in G.U. n. 272 del 20 novembre 2019 la Legge 18
novembre 2019, n.133 di “Conversione con modificazioni del Decreto
Legge 21 settembre 2019, n. 105, recante disposizioni urgenti in
materia di Perimetro di sicurezza nazionale e cibernetica”.
La nuova versione del Decreto Legge convertito prevede una serie
di importanti scadenze tra le quali:
- entro il
22 Marzo 2020, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri
verranno individuate le amministrazioni pubbliche, enti ed operatori
pubblici e privati aventi una sede nel territorio nazionale, inclusi
nel perimetro di sicurezza nazionale cibernetica;
- entro il
22 Settembre 2020, tra l’altro:
a) saranno definite le procedure per notificare gli incidenti aventi
impatto sulla sicurezza cibernetica al CSIRT italiano (Gruppo di
intervento per la sicurezza in caso di incidenti);
b) saranno stabilite le misure volte a garantire elevati livelli di
sicurezza delle reti sulla base degli standard UE ed internazionali
riguardo alle politiche di sicurezza, alla protezione dei dati,
all'integrità delle reti.
“Criterio del blocco unitario”
È legittima la scelta della stazione appaltante, operata in sede di
indizione di una gara pubblica per l’affidamento di un appalto di
lavori secondo il criterio del minor prezzo ex art. 96 c. 4, D. Lgs.
n. 50 del 2016, di non applicare il c.d. “criterio del blocco
unitario”, alla stregua del quale, ai fini del calcolo della soglia di
anomalia, le offerte aventi identico ribasso percentuale sono
considerate come un’unica offerta, e, quindi, di considerare ogni
singola offerta, ove l’Amministrazione si sia avvalsa del sistema di
sorteggio ex art.97, comma 2, d. lgs. n. 50 del 2016 e, segnatamente,
abbia sorteggiato quello previsto dalla lett. b) della stessa norma.
Infatti, la scelta dell’amministrazione di non avvalersi del criterio
del c.d. “blocco unitario”, oltre a non trovare alcun ostacolo
normativo nel D. Lgs. n. 50 del 2016, risulta chiaramente esplicitata
e motivata nella stessa lex specialis di gara.
Entro il
giorno 16 del mese successivo, il committente deve effettuare un
controllo e verificare la congruità tra l’ammontare complessivo degli
importi ricevuti (da appaltatori, affidatari e/o subappaltatori) e le
trattenute effettuate dalle imprese. A tal fine queste ultime
trasmettono via PEC al committente (e le imprese subappaltatrici anche
all’appaltatrice):
- elenco
nominativo dei lavoratori impiegati nel mese precedente per
l’esecuzione dei lavori e/o dei servizi (identificati con codice
fiscale), con dettaglio ore lavoro prestate, ammontare della
retribuzione corrisposta e dettaglio delle ritenute fiscali eseguite
nel mese precedenti;
- dati utili per
compilare le deleghe di pagamento volte al versamento di quanto
dovuto;
- dati del
bonifico effettuato.
Versamento diretto delle imprese esecutrici
In alternativa, il Decreto fiscale prevede la possibilità per le
imprese esecutrici di provvedere al versamento diretto delle ritenute
qualora sussistano i requisiti indicati nel Decreto stesso (tra cui
essere in attività da almeno 5 anni, non avere subito accertamenti
esecutivi per tributi e contributi previdenziali superiori a €
50.000,etc.).
Sono
accessibili gli atti posti in essere dalle SOA nell’ambito
dell’attività di certificazione
Le SOA, pur avendo natura giuridica di società per azioni di diritto
speciale, svolgono una funzione pubblicistica di certificazione, che
sfocia nel rilascio di un’attestazione con valore di atto pubblico,
sicché la loro attività configura un “esercizio privato di pubblica
funzione” e le attestazioni di qualificazione, risultato dell’attività
di certificazione delle SOA, sono peculiari atti pubblici, destinati
ad avere una specifica efficacia probatoria. Ne discende che gli atti
posti in essere nell’ambito della suddetta attività sono certamente
accessibili.
Una
recente sentenza del Tribunale di Padova (550/2019 del 16 luglio
2019), che si inserisce nel filone della sentenza sui così detti
riders, si è pronunciata in materia di genuinità e regolarità
dell’appalto laddove le direttive sono impartite da un software del
Committente.
Il caso ha riguardato alcuni dipendenti di una cooperativa che
svolgevano la mansione di picker, ossia di addetti al prelievo e
movimentazione della merce.
Secondo questi dipendenti (ricorrenti) le istruzioni di lavoro erano
ricevute direttamente dal committente, sia attraverso un
terminale mobile in dotazione ai lavoratori, sia , in un successivo
momento, a voce, tramite collegamento mediante cuffie e
microfono. Tale sistema combinato consentiva al committente di
conoscere in tempo reale le operazioni svolte dal singolo lavoratore e
la durata di ciascuna di esse.
I ricorrenti hanno chiesto l’accertamento di un rapporto di lavoro
direttamente in capo al committente con il versamento delle differenze
retributive, chiedendo in subordine il riconoscimento della
responsabilità solidale della Cooperativa con il Committente, ai sensi
dell’Art. 29 del D. Lgs. 276/2003.
Il Tribunale di Padova è stato, dunque, chiamato a decidere chi fosse
il reale datore di lavoro, ossia chi “presiedeva all’organizzazione
del lavoro nel magazzino e chi quindi esercitava la direzione sui
lavoratori che vi erano addetti”.
Il concetto di subordinazione deve, secondo il Tribunale di Padova,
tener conto dell’evoluzione tecnologica che ha reso per molti settori
obsoleta la relazione tra “superiore” e “subordinato”, soprattutto
laddove è rimesso alle macchine guidare il processo produttivo. I
software ed il sistema di riconoscimento vocale dei singoli dipendenti
della cooperativa messi a disposizione dalla Committente hanno posto
quest’ultima nella posizione di poter controllare e dirigere le
operazioni di lavoro, oltre a trattare dati di soggetti terzi senza
aver dato evidenza dell’esistenza di pre-autorizzazioni in tal senso.
Tali circostanze sono state considerate ritenute dal Tribunale di
Padova elementi utili a ritenere che il Committente abbia
esercitato i poteri del datore di lavoro. Infatti, il governo
complessivo dell’attività aziendale e la direzione del lavoro dei
singoli addetti possono essere intesi come elementi di un
rapporto informatizzato con l’apparente committente.
Il Tribunale, accogliendo il ricorso, ha quindi accertato che la
cooperativa dovesse intendersi come mera “interposta” nei rapporti di
lavoro facenti capo alla Committente; pertanto, i ricorrenti sono
stati ritenuti dipendenti di quest’ultima con inquadramento adeguato
al c.c.n.l. applicato dalla stessa.
Consorzi
stabili – obbligo di indicazione quote di esecuzione dei consorziati –
esclusione – inammissibile
La sentenza ha ad oggetto il provvedimento con cui è stato escluso da
una gara pubblica un consorzio stabile che non aveva ottemperato
all’obbligo previsto da disciplinare di gara - in asserita
applicazione dell’art. 48, comma 4, d.lgs. 50/2016 - di indicare la
quota parte del servizio che avrebbe svolto ciascun consorziato.
Secondo il TAR Lombardia, l’esclusione è illegittima, poiché l’art.
48, comma 4, d.lgs. 50/2016 si applica ai raggruppamenti temporanei di
imprese ed ai consorzi ordinari, non ai consorzi stabili, che invece
costituiscono un’autonoma struttura organizzativa, cui imputare
integralmente la prestazione da eseguirsi, della quale il consorzio
stabile risponde in proprio, senza dover specificare la quota di
esecuzione di ciascun consorziato..
Con
Decreto Legge n. 105 del 21 settembre 2019 sono state emanate
“Disposizioni urgenti in materia di Perimetro di sicurezza nazionale
cibernetica” .
Il D.L. in questione prevede, al fine di assicurare un livello
elevato di sicurezza delle reti e dei sistemi informativi ed
informativi delle amministrazioni pubbliche e degli enti nazionali,
pubblici e privati, che svolgono una funzione essenziale dello
Stato o prestano un servizio essenziale per il
mantenimento di attività fondamentali per gli interessi dello
Stato, l’istituzione di un perimetro di sicurezza nazionale
cibernetica.
Entro 4 mesi dall’entrata in vigore della relativa legge di
conversione verrà predisposto, con Decreto del Presidente del
Consiglio, un elenco dei soggetti, pubblici e privati,
interessati dalla nuova normativa e tenuti al rispetto delle
misure e degli obblighi in essa previsti.
Nei successivi 10 mesi, sempre con Decreto del Presidente del Consigli
, verranno inoltre:
- definite le
procedure di notifica degli incidenti di data breach che impatteranno
sui sevizi informativi al nuovo Gruppo di intervento per la sicurezza
informatica in caso di incidente (CSIRT- Cyber Security incident
response team), il quale inoltra poi tali segnalazioni al Dipartimento
delle informazioni per la sicurezza ed in ultimo al Ministero
dell’interno;
- stabilite le
misure volte a garantire livelli di sicurezza delle reti (tra cui le
politiche di sicurezza, la mitigazione e gestione degli incidenti e
loro prevenzione, integrità delle reti etc.).
Il Decreto Legge 105/2019, inoltre, menziona espressamente
la tecnologia 5G e la necessità di prevenire attacchi informatici,
assicurando così l’integrità dei sistemi di comunicazione a banda
larga destinata ad una sempre maggiore diffusione.
La normativa in commento vuole rappresentare un adeguamento
dell’Italia agli standard internazionali di sicurezza informatica,
rinviando poi alla normativa di secondo livello il dettaglio
della disciplina in oggetto.
CORTE DI GIUSTIZIA U.E., SEZ. V – sentenza 26 settembre 2019 (causa
C‑63/18)
Limite subappalto al 30% – incompatibilità con diritto comunitario
Nella sentenza in esame, la Corte di Giustizia Europea, tra l’altro,
si è pronunciata sul tema della conformità al diritto comunitario
della disciplina nazionale italiana sui contratti pubblici nella parte
in cui fissa il limite massimo subappaltabile al 30% dell’importo
contrattuale.
Come riporta la Corte, il Governo italiano ha giustificato tale
limitazione alla luce di particolari circostanze rilevanti in Italia,
dove il subappalto è sempre setato uno dei meccanismi utilizzati per
perseguire intenti criminali.
La Corte di Giustizia ha rilevato che la normativa italiana proibisce,
in termini generici ed astratti, il ricorso al subappalto che superi
una percentuale fissa dell’appalto pubblico, che si applica
indipendentemente dal settore economico interessato dall’appalto di
cui trattasi, dalla natura dei lavori o dall’identità dei
subappaltatori. Un siffatto divieto generale, ha ritenuto la Corte,
non lascia alcuno spazio a una valutazione caso per caso da parte da
parte dell’ente aggiudicatore.
Peraltro, come già rilevato dalla Commissione europea, misure meno
restrittive sarebbero idonee a raggiungere l’obiettivo perseguito dal
legislatore italiano, come nel caso di quelle previste
dall’articolo 71 della direttiva 2014/24 e richiamate nella sentenza.
D’altronde, come indica il giudice del rinvio, il diritto italiano già
prevede numerose attività interdittive espressamente finalizzate ad
impedire l’accesso alle gare pubbliche alle imprese sospettate di
condizionamento mafioso o comunque collegate a interessi riconducibili
alle principali organizzazioni criminali operanti nel Paese.
La Corte di Giustizia ha quindi ritenuto che il limite al ricorso del
subappalto come quella indicato non può essere ritenuta compatibile
con la Direttiva 2014/24, la quale deve essere interpretata nel senso
di precludere alle legislazioni nazionali che limitino al 30% la quota
del contratto che l’appaltatore può subappaltare a terzi.
Consiglio di Stato, SEZ. V – sentenza 4
ottobre 2019 n. 6698
Revisione tariffe concessione raccolta e smaltimento rifiuti –
esercizio poteri autoritativi - giurisdizione amministrativa
Il Consiglio di Stato si è pronunciato in merito alla questione di
giurisdizione sussistente in materia di revisione delle tariffe di una
concessione per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti delle navi
scalanti.
Il Collegio afferma la sussistenza della giurisdizione amministrativa
alla luce dell’art. 133, comma 1, lett. c) c.p.a., che, nel
circoscrivere le materie di giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo, assegna al giudice ordinario le controversie “di
contenuto meramente patrimoniale, ovvero inerenti quantificazione e
pagamento dei corrispettivi in questione”, sempreché non siano con
esse posti in discussione i poteri discrezionali dell’amministrazione
concedente.
La revisione delle tariffe richiede l’esercizio di poteri
amministrativi di carattere discrezionale, mediante i quali vengono
determinate autoritativamente le tariffe applicate all’utenza, con il
necessario contemperamento delle ragioni dell’utenza di accesso al
servizio con quelle del gestore di mantenimento dell’equilibrio
economico del contratto.
La giurisdizione ordinaria sussisterebbe invece nel diverso caso di
controversia relativa alle somme dovute – solitamente in aggiunta alle
tariffe praticate nei confronti dell’utenza - dall’amministrazione
concedente al concessionario nel rapporto bilaterale, e solo ove si
controverta della mera quantificazione, di tali indennità, canoni o
corrispettivi.
CDS, SEZ. V, 27 settembre 2019, n. 6490.
Omessa dichiarazione di una precedente esclusione per irregolarità
fiscale – Necessità che le informazioni risultino, comunque, dal
Casellario informatico dell’ANAC.
Una precedente espulsione da una gara pubblica per irregolarità
fiscale non può assumere rilievo, quale motivo di esclusione, in
termini di grave illecito professionale e, quindi, di circostanza da
dichiarare, posto che diversamente opinando, si realizzerebbe
un’indefinita protrazione di efficacia, “a strascico”, delle
violazioni relative all’obbligo di pagamento di debiti per imposte e
tasse, laddove l’art. 80, comma 4, riconosce efficacia escludente alla
partecipazione alla gara solamente sino al momento in cui il
concorrente non provveda alla regolarizzazione della propria
posizione.
Inoltre, per potersi ritenere integrata la causa di esclusione di cui
all’art. 80, comma 5, lettera c) è necessario che le informazioni di
cui si lamenta la mancata segnalazione risultino, comunque, dal
Casellario informatico dell’ANAC in quanto solo rispetto a tali
notizie potrebbe porsi un onere dichiarativo ai fini della
partecipazione alle procedure di affidamento; eventuali esclusioni da
precedenti procedure, per quanto accertate dal giudice amministrativo,
assumono pertanto rilevanza solo se e fino a quanto risultino iscritte
nel Casellario, qualora l’ANAC ritenga che emerga il dolo o la colpa
grave dell’impresa interessata, in considerazione dell’importanza e
della gravità dei fatti.
CDS, SEZ. III, 25 settembre 2019, n.
6433.
Onere dichiarativo di risoluzione contrattuale sub judice.
Nel caso di precedenti risoluzioni contrattuali sub judice –
quantunque sia stata eliminata dall’attuale lettera c-ter) dell’art.
80, comma 5, del D.lgs. 50/2016, la connotazione della
risoluzione contrattuale rilevante come “non contestata in giudizio
ovvero confermata all’esito di un giudizio” – con la sentenza in
commento, il Consiglio di Stato, in linea con i più recenti
orientamenti dell’Anac ha ritenuto che ove gli eventi che avrebbero
dovuto essere dichiarati non risultino dal Casellario informatico
dell’ANAC la relativa omissione non può considerarsi idonea
all’applicazione di una sanzione automaticamente espulsiva. In tal
senso, infatti, l’esclusione dell’operatore per omessa dichiarazione
sarebbe sproporzionata e lesiva del legittimo affidamento suscitato
anche da atti interpretativi dell’Autorità di settore.
TAR Lazio, Roma, Sez. III, sentenza 3
ottobre 2019, n. 11522
Natura giuridica di Trenitalia – Sussistenza di una “rete”
nell’attività di trasporto AV/AC – Nozione della “gestione della
rete” destinata a fornire un servizio al pubblico nel campo del
trasporto (ferroviario)
La natura giuridica di Trenitalia va accomunata a quella della sua
holding, Ferrovie dello Stato italiane s.p.a., succeduto all’Ente
Ferrovie dello Stato nella qualità di concessionario ex lege del
servizio ferroviario ed ente geneticamente preposto ad un servizio
pubblico essenziale di trasporto
2. L’attività di trasporto ad alta velocità, ancorché liberalizzata,
non esula dal concetto di “rete” di cui all’art. 118 del D.lgs. n.
50/2016, i cui presupposti si concretizzano nei rilevanti compiti che
il d.lgs. 112/15 attribuisce al gestore dell’infrastruttura (quale è
Rete Ferroviaria Italiana RFI) in relazione alla individuazione (a
titolo esemplificativo) delle tratte, degli orari, della frequenza e
della capacità di trasporto.
Rientrano nell’ambito di applicazione dell’art. 118 del D.lgs. n.
50/2016 – e, qualora riconducibili al novero degli “enti
aggiudicatori”, soggiacciono quindi alle regole dell’evidenza pubblica
per l’affidamento di attività strumentali – anche i “vettori
ferroviari”; questi ultimi vanno ricompresi a pieno titolo tra i
soggetti incaricati della “gestione della rete” (che ricomprende
qualsiasi attività svolta da un’impresa ferroviaria, consistente nel
fornire servizi di trasporto al pubblico esercitando un diritto di
utilizzo della rete ferroviaria – v. Corte di Giustizia dell’unione
Europea, sent. 2019, C – 388/17 – Konkurrensverket contro SJ AB).
CDS, Sezione V, 20 settembre 2019, n.
6251
Il termine per impugnare scatta solo con la piena conoscenza
dell’aggiudicazione
In materia di appalti, ai fini della decorrenza del termine per
impugnare gli atti di gara, la comunicazione dell’aggiudicazione da
parte della stazione appaltante resta la via esclusiva che non può
essere surrogata da altre forme di pubblicità legali, quali la
pubblicazione all’albo pretorio del Comune o sul profilo della
committente e neppure dalla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale
dell’Ue. Lo afferma è il Consiglio di Stato accogliendo il ricorso di
una società estromessa da un appalto per il trasporto scolastico,
aggiudicato alla società concorrente dopo una ulteriore verifica dei
requisiti, resa necessaria per la presenza di alcune anomalie in un
primo momento. La ricorrente non aveva ricevuto alcuna comunicazione e
solo dopo l’accesso agli atti era riuscito a conoscere l’esito della
procedura, impugnandola secondo i giudici di primo grado tardivamente.
Per il Consiglio di Stato, invece, non è possibile desumere la
cosiddetta piena conoscenza dell’aggiudicazione «da un elemento
indiziario», dovendo il termine per impugnare decorrere da quando il
concorrente abbia acquisito piena contezza del nominativo
dell’aggiudicatario e del carattere definitivo dell’aggiudicazione.
CORTE DI GIUSTIZIA UE, SEZ. V, 18 settembre 2019 (Causa C-526/17)
Illegittimità proroga concessione lavori pubblici
Secondo la Corte di Giustizia, avendo l’Italia con convenzione del
2009 prorogato dal 31 ottobre 2028 al 31 dicembre 2046 la concessione
di lavori pubblici di un’autostrada senza pubblicare alcun bando di
gara è venuta meno agli obblighi previsti dall’art. 2 della direttiva
2004/18/CEE, che impone il rispetto dei principi di parità di
trattamento, non discriminazione e trasparenza in tema di appalti
pubblici, e l’art. 58 che stabilisce che “le amministrazioni
aggiudicatrici che intendono procedere alla concessione di lavori
pubblici rendono nota tale intenzione mediante un bando”.
Tale proroga, infatti, ad avviso della Corte di Giustizia costituisce
“una modifica sostanziale delle condizioni della concessione”.
CDS, SEZ. II, 30 settembre 2019, n. 6534
Ammissibilità della memoria di replica.
Con la pronuncia in esame, il Consiglio di Stato ha chiarito che le
memorie di replica, previste e regolate dall’art. 73, comma 1, c.p.a.,
hanno fine esclusivo di consentire di rispondere alle deduzioni
contenute nelle nuove memorie depositate dalle controparti in vista
dell’udienza di discussione.
Da ciò ne segue che la replica è inammissibile qualora controparte non
abbia depositato memoria conclusionale e che il suo oggetto deve
restare, comunque, contenuto nei limiti della funzione di contrasto
alle difese svolte nella memoria conclusionale avversaria, onde
evitare che si traduca in un mezzo per eludere il termine per il
deposito delle memorie conclusionali, proponendo tardivamente
argomenti che avrebbero dovuto trovare posto nella memoria per
l’udienza di discussione.
CASSAZIONE N. 15724, 11/06/2019
Consecuzione tra procedure concorsuali: la traslazione dall’una
all’altra procedura consente di trasferire la precedenza derivante
dalla prededuzione (articolo 69bis l.f.).
La consecuzione è un fenomeno generalissimo, consistente nel
collegamento tra procedure concorsuali di qualsiasi tipo, volte a
regolare una coincidente situazione di dissesto dell’impresa, che
trova nell’articolo 69-bis della legge Fallimentare una sua
particolare disciplina, nel caso in cui esso si atteggi a consecuzione
tra una o più procedure minori e un fallimento finale. Il fenomeno
della consecuzione funge elemento di congiunzione tra procedure
distinte e consente di traslare dall’una all’altra procedura la
precedenza procedimentale in cui consiste la prededuzione, facendo sì
che la stessa valga non solo nell’ambito in cui è maturata, ma anche
nell’altro che alla prima sia conseguito.
CASSAZIONE, SEZIONE III, ORDINANZA 7 MARZO 2019 N. 6590
Necessità di reiterazione delle istanze istruttorie in sede di
conclusioni.
La parte che si sia vista rigettare dal giudice di primo grado le
proprie richieste istruttorie ha l’onere di
reiterarle al momento della precisazione delle conclusioni
poiché, diversamente, le stesse debbono intendersi rinunciate e non
possono essere riproposte in appello, non potendosi ritenere assolto
tale onere attraverso il richiamo generico al contenuto dei precedenti
atti difensivi, atteso che la precisazione delle conclusioni deve
avvenire in modo specifico, coerentemente con la funzione sua propria
di delineare con precisione il “thema” sottoposto al giudice e di
porre la controparte nella condizione di prendere posizione in ordine
alle richieste, istruttorie e di merito, definitivamente
proposte.
CASSAZIONE, SEZIONE VI, ORDINANZA 6
MARZO 2019 N. 6444
L’accordo transattivo a seguito del ricorso in cassazione comporta
la cessazione della materia del contendere. Differenza tra
rinuncia agli atti e rinuncia all’azione sul piano della
definizione del processo.
Nell’ipotesi in cui nel corso del giudizio di legittimità le parti
raggiungano un accordo che definisce la controversia, si deve
dichiarare cessata la materia del contendere, con conseguente venir
meno dell’efficacia della sentenza impugnata, non essendo
riconducibile la situazione a una delle tipologie di decisione di cui
agli articoli 382, terzo comma, 383 e 184 c.p.c., né risultando
configurabile un sopravvenuto disinteresse delle parti alla decisione
del ricorso, cioè una sopravvenuta inammissibilità del ricorso stesso.
Si veda anche: Tribunale di Roma n. 1206/2018 del 18/01/2018: “A
differenza della rinuncia agli atti del giudizio – atto processuale
indipendente dalle cause e dalle finalità, che produce l’effetto
tipico di estinguere la fase processuale nella quale interviene – la
transazione – atto stragiudiziale di definizione della lite – non
incide direttamente sul processo, determinandone l’estinzione, ma sul
diritto sostanziale che ne forma oggetto, comportando cessazione della
materia del contendere (ex plurimis Cass. 23.4.1999, n. 4035; Cass.
27.2.1998, n. 2197). Mentre la rinuncia agli atti priva la parte del
potere di ottenere una pronuncia di merito e, corrispondentemente, il
giudice del potere – dovere di emetterla, lasciando impregiudicata la
situazione sottostante, di tal che la domanda può essere riproposta in
altro processo, diversamente avviene nella transazione, che, appunto,
perché pone fine al contrasto insorto tra le parti mediante un nuovo
regolamento di interessi, incide sul diritto sostanziale e preclude la
proposizione di una nuova domanda sul medesimo oggetto” (in tal senso,
ex plurimis, Cass. Civ., Sez. III, 21 febbraio 2003, n. 2647).
Con
provvedimento n. 157 in data 30 luglio 2019 il Garante privacy
ha indicato alcune prescrizioni di natura tecnica per coloro che hanno
necessità di notificare al Garante stesso la violazione di dati
personali, ai sensi dell’art. 33 del Regolamento GDPR UE 2016/679 sul
trattamento dei dati personali (il così detto data breach).
In particolare, il Garante ha messo a punto un modulo rinvenibile sul
sito istituzionale dell’Autorità stessa, che dovrebbe facilitare
i titolari di trattamento oggetto di data breach nell’adempiere
all’obbligo di notifica nel più breve tempo possibile – e
comunque non oltre le 72 ore dall’evento– dall’avverarsi di un
episodio di data breach, ossia di violazione della sicurezza che
comporta, accidentalmente o in modo illecito, la distruzione, la
perdita, la modifica, la divulgazione non autorizzata o l’accesso ai
dati personali trasmessi, conservati o comunque trattati .
Il Titolare del trattamento dati, quindi, ha adesso un modulo
formulato dal Garante privacy che dovrebbe facilitare la trasmissione
delle informazioni richieste dal Regolamento 2016/679, avendole
identificate il Garante stesso. Tale modulo dovrà essere trasmesso al
Garante mediante i sistemi telematici indicati sul sito
istituzionale del Garante. Il provvedimento peraltro ha chiarito che
con riferimento ai termini temporali, al contenuto e alle modalità
delle comunicazioni delle violazioni dei dati personali indicati in
precedenti provvedimenti (tra cui quelli ion tema di biometria del
204, in materia di informazioni bancarie del 2011, in materia di
Dossier sanitario del 2015) si intendono eliminati e sostituiti da
quelli di cui al Provvedimento in commento, in conformità con il
Regolamento 2016/679.
Il Provvedimento n. 157/2019 si aggiunge alla restante documentazione
in materia di data breach , tra cui si rammentano le “Linee guida
sulla notifica delle violazioni dei dati personali ai sensi del
Regolamento (UE) 2016/679 “ del Gruppo di Lavoro art. 29 del 2017
aggiornate, modificate e fatte proprie dal Comitato Europeo per
la protezione dei dati con provvedimento del 25 maggio 2018; nonché la
Opinion 5/2019 on the interplay between the ePrivacy Directive and the
GDPR, adottata dal Comitato europeo per la protezione dei dati in data
12 marzo 2019.
Infine, si fa presente che il Garante Privacy ha fatto partire in data
23 settembre u.s. il "Privacy Sweep 2019", un’indagine a
carattere internazionale dedicata quest’anno alla gestione dei data
breach da parte di soggetti pubblici e privati. Allo Sweep (indagine a
tappeto) del 2019 partecipano, oltre a quella italiana, altre 17
Autorità garanti della privacy di vari Paesi del mondo.
Il Garante per la protezione dei dati personali concentrerà la sua
attività sul settore dell’e-commerce attraverso l’analisi di un
campione significativo di aziende italiane.
Si informa
che il 26 giugno 2019 è entrato in vigore il Regolamento
(UE) 2019/881 del Parlamento europeo del Consiglio del 17 aprile 2019,
pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale UE del 7 giugno u.s., relativo
all’ENISA (European Union Agency for Network and Information
Security) - l’Agenzia dell’Unione europea per la cibersicurezza
- e alla certificazione della cibersicurezza per le tecnologie
dell’informazione e della comunicazione, che abroga il
regolamento (UE) n. 526/2013 («regolamento sulla cibersicurezza»).
Il Regolamento ha il duplice obiettivo, da un lato, di rinforzare il
ruolo dell’Agenzia europea sulla cibersicurezza (ENISA) e, dall’altra,
di creare le base per una certificazione uniforme a livello europeo
per la sicurezza informatica dei prodotti ITC e dei servizi digitali.
Si tratta di un Regolamento importante emanato nel solco della
normativa comunitaria in materia di protezione dei dati personali
(GDPR Regolamento UE 2016/679) nonché della direttiva UE 2016/1148,
recante misure per un livello comune elevato di sicurezza delle reti e
dei sistemi informativi nell’Unione , recepita in Italia con Decreto
Legislativo n. 65 del 18 maggio 2018.
Obiettivo del Regolamento è quello di creare una disciplina comune che
garantisca un elevato standard di sicurezza dei dispositivi telematici
e un uso sicuro dei servizi TlC.
Compito dell’ENISA sarà quello di conseguire un elevato livello comune
di cibersicurezza nell’Unione sostenendo attivamente gli Stati membri,
le istituzione, gli organi e gli organismi dell’Unione Europea.
Inoltre, obiettivo dell’ENISA sarà quello di promuovere l’uso della
certificazione europea della cibersicurezza a livello Europeo, per
evitare la frammentazione del mercato interno.
Quanto sopra è una primissima informativa a cui seguiranno
approfondimenti ulteriori sul Regolamento UE 2019/881.
“In data
17 giugno 2019 è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale la legge di
conversione 14 giugno 2019, n. 55 che ha convertito il decreto-legge
18 aprile 2019, n. 32 recante: «Disposizioni urgenti per il rilancio
del settore dei contratti pubblici, per l'accelerazione degli
interventi infrastrutturali, di rigenerazione urbana e di
ricostruzione a seguito di eventi sismici.»
Si riportano qui di seguito, sinteticamente, le principali modifiche
apportate dal citato provvedimento al Codice Appalti (D.Lgs. 50/2016
s.m.i.).
·
Regolamento di attuazione: entro 180 giorni
dall’entrata in vigore del decreto dovrà essere emanato il regolamento
di esecuzione, attuazione e integrazione del codice. Le Linee Guida e
i decreti adottati in attuazione delle previgenti disposizioni
rimarranno in vigore e o resteranno efficaci fino alla data di entrata
in vigore del regolamento.
·
Limite del 40% al subappalto: fino al 31 dicembre 2020 il
limite massimo subappaltabile sarà pari al 40% dell’importo
complessivo del contratto. Tuttavia, sarà la Stazione Appaltante ad
indicare nel bando, per ogni gara, la quota di lavoro o servizi
subappaltabili; inoltre, non sarà obbligatorio indicare la terna dei
subappaltatori.
·
Procedura negoziata fino a 1 milione di euro:
1) nelle
gare di importo compreso tra 40 mila euro e 150 mila euro per i
lavori, o fino alle soglie comunitarie (221 mila euro) per i servizi e
le forniture si procederà con affidamento diretto previa
consultazione, ove esistenti, di almeno 3 operatori economici per i
lavori e di almeno 5 operatori per i servizi e le forniture;
2) nelle gare di importo compreso tra
150 mila euro e 350 mila euro si procederà con procedura negoziata
previa consultazione, ove esistenti, di almeno 10 operatori economici;
3) per gli affidamenti di importo
compreso tra 350 mila euro e 1 milione di euro, si utilizzerà la
procedura negoziata previa consultazione, ove esistenti, di almeno 15
operatori economici;
4) per importi superiori a 1 milione di
euro per i lavori, o alle soglie comunitarie per i servizi e le
forniture, si dovrà ricorrere alle procedure ordinarie.
Viene inserita una disciplina di dettaglio per gli affidamenti
"sottosoglia", per le indagini di mercato e per la formazione e
gestione degli elenchi degli operatori economici, stabilendosi
l'utilizzo del criterio del "minor prezzo" come alternativa sempre
possibile all'OEPV per l'aggiudicazione dei contratti "sottosoglia”.
·
Affidamenti a terzi da parte dei
concessionari: viene differito al 31 dicembre 2020 il termine
entro il quale i titolari di concessioni già in essere devono
adeguarsi alla percentuale di affidamento a terzi mediante procedure
ad evidenza pubblica (80% - o 60% nel caso dei concessionari
autostradali - dei contratti di lavori, servizi e forniture).
·
Appalto integrato: fino al 31
dicembre 2020, nei casi in cui l'elemento tecnologico o innovativo
delle opere oggetto dell'appalto sia nettamente prevalente rispetto
all'importo complessivo dei lavori, sarà consentito l’affidamento
congiunto della progettazione esecutiva ed esecuzione dei lavori. La
legge di conversione prevede che i requisiti minimi per lo svolgimento
della progettazione siano previsti nei documenti di gara nel rispetto
del Codice e del nuovo regolamento di attuazione.
· Lavori di manutenzione sulla base del progetto
definitivo: fino al 31 dicembre 2020, i lavori di
manutenzione ordinaria e straordinaria potranno essere affidati sulla
base del progetto definitivo e l'esecuzione potrà essere avviata a
prescindere dall'avvenuta redazione e approvazione del progetto
esecutivo, a meno che detti lavori non prevedano il rinnovo o la
sostituzione di parti strutturali delle opere o di impianti. Il
progetto definitivo dovrà avere un contenuto minimo prestabilito.
·
Commissari di gara: fino al 31 dicembre 2020 non vi sarà
l'obbligo di servirsi in fase di gara di commissari indipendenti
nominati all'interno di un albo gestito dall'ANAC (mai peraltro
avviato).
·
Esame offerte: fino al 31 dicembre 2020 sarà consentito alla
Stazione Appaltante (ove specificamente previsto nel bando di gara o
nell'avviso con cui si indice la gara) - limitatamente alle procedure
aperte - espletare l'operazione di esame delle offerte prima
dell'operazione di verifica dei requisiti degli offerenti.
·
Criteri di aggiudicazione:
viene eliminato l'obbligo di affidare i lavori di importo fino a 5,5
milioni di euro secondo il criterio del massimo ribasso. La Stazione
Appaltante potrà scegliere in autonomia il criterio e, nel caso in cui
ne scelga uno diverso da quello del prezzo più basso, non dovrà
fornire nessuna giustificazione.
·
Certificati e cause di esclusione:
i documenti e le certificazioni degli operatori avranno una durata di
sei mesi. Per i certificati e i documenti (tranne il Durc), già
acquisiti ma scaduti da meno di 60 giorni, per i quali sia in corso la
procedura di rinnovo, la Stazione Appaltante potrà verificare
direttamente presso gli enti certificatori l’eventuale presenza di
cause di esclusione. Se gli enti non risponderanno entro 30 giorni, si
riterrà confermato il contenuto dei certificati scaduti.”
Il
Parlamento europeo ha approvato una nuova Direttiva, ancora non
pubblicata sulla GUCE, per proteggere a livello europeo
gli informatori che rivelano violazioni del diritto comunitario in
settori quali appalti pubblici, servizi finanziari, riciclaggio di
denaro, sicurezza dei prodotti e dei trasporti, sicurezza nucleare,
salute pubblica, protezione dei consumatori e dei dati.
Canali sicuri di comunicazione
Per garantire gli informatori e la loro riservatezza questi
potranno comunicare le segnalazioni attraverso più canali di
comunicazione: all’interno dell’ente interessato (es. azienda),
direttamente alle autorità nazionali competenti, agli organi e alle
agenzie competenti dell’UE. Quindi le aziende e le autorità nazionali
dovranno creare tali canali di comunicazioni. In assenza di tali
canali sicuri, il segnalante sarà comunque protetto qualora decidesse
di divulgare pubblicamente le informazioni.
Saranno esentati da tali obblighi le piccole aziende e i piccoli
comuni.
Salvaguardia contro le ritorsioni
La Direttiva vieta rappresaglie e introduce nuove tutele per evitare
che chi denuncia possa essere sospeso, declassato o si trovi ad
affrontare forme di ritorsione. Stessa tutela viene estesa per chi
assiste gli informatori (ad es. colleghi e parenti).
Gli Stati membri garantiranno accesso gratuito alle informazioni
riguardanti i mezzi di ricorso possibili, l’assistenza legale durante
i procedimenti. Gli informatori potranno ricevere durante i
procedimenti sostegno finanziario e psicologico.
Prossime tappe
La legge dovrà essere approvata formalmente anche dai Ministri UE e
successivamente alla pubblicazione sulla GUCE, gli Stati membri
avranno due anni per implementare la Direttiva.
Provvedimento del Garante Privacy del 4 aprile 2019 n. 9101974
In un recentissimo provvedimento (in
data 4 aprile u.s.) il Garante privacy si è pronunciato, a seguito di
molteplici segnalazioni anche da parte di privati cittadini, in
merito ad un caso di Data Breach che ha coinvolto la piattaforma
Rousseau ed altri siti web connessi al Movimento 5 stelle.
Come noto, il Regolamento 2016/679 in materia di trattamento dei dati
personali prescrive all’art. 33 un obbligo di notificare al Garante,
entro 72 ore dall’evento e/o dal momento in cui si viene a conoscenza
dello stesso, casi di violazione dei dati personali (ad esempio
episodi di intrusione in un sistema informatico e violazione dei
sistemi di sicurezza per l’appropriazione illegittima dei dati
contenuti su un server ovvero casi di crittografia dei file
tramite malware con contestuale richiesta di riscatto con pagamento in
criptovalute).
La vicenda in esame prende le mosse nel 2017 quando, a seguito di
istruttoria, il Garante privacy ha emesso un primo provvedimento (in
data 21 dicembre 2017 n. 7400401) indicando specifiche azioni di
miglioramento delle piattaforme in questione, avendo rilevato numerose
aree di criticità, dal punto di vista informatico, che ne
compromettevano la sicurezza anche ai fini di accessi non autorizzati
alle piattaforme stesse, con evidente violazione della normativa sulla
tutela dei dati personali (l’allora vigente Codice privacy D.Lgs.
163/1996 e numerosi Provvedimenti Generali del Garante). Tra le
preliminari misure necessarie prescritte nel 2017 il Garante
privacy ha richiesto, tra l’altro, anche:
- l’adeguamento della lunghezza minima della password di accesso
al sistema;
- l’adozione di protocolli di rete https per garantirne una maggiore
sicurezza;
- l’adozione di algoritmi crittografici robusti per la garantire
efficacemente le password degli utenti;- misure di auditing per
la verifica della liceità dei trattamenti dei dati con
riferimento al sistema di e-voting tramite le piattaforme in
questione, mediante tenuta dei registri degli accessi degli
amministratori di sistema e delle operazioni compiute (log) sul
data base della Piattaforma Rousseau (in conformità con un
Provvedimento generale del Garante privacy del 2008 in tema di
amministratori di sistemi); nonché
- miglioramento delle informative agli interessati ai sensi
dell’allora vigente art. 13 del D.lgs. 196/2013.
Nel provvedimento veniva, peraltro, dichiarata l’illiceità dei
trattamenti dei dati degli utenti da parte dei titolari dei siti
riconducibili al Movimento 5 stelle, in ragione della comunicazione a
soggetti terzi (Wind Tre spa e ITNET srl) dei dati medesimi in
mancanza di idoneo presupposto.
A fronte di tali preliminari
prescrizioni, il Garante privacy ha effettuato la
necessaria ulteriore istruttoria per accertare se e come
fossero state implementate le misure prescritte nel 2017.
All’esito di tali verifiche
- e dopo due provvedimenti di proroga dei termini a seguito di
richiesta dall’Associazione Movimento 5 Stelle e dalla Piattaforma
Russeau - ed una volta effettuati gli accertamenti
di natura tecnica volti a verificare in concreto la robustezza dei
sistemi di sicurezza adottati rispetto alle criticità rilevate
dall’Autorità Garante della privacy nel 2017, sono emerse ancora delle
inadempienze che hanno condotto, il Garante ad irrogare una sanzione
amministrativa all’associazione Rousseau, in qualità di Responsabile
del trattamento dati del Movimento 4 Stelle, pari a € 50 mila, in
conformità a quanto previsto dall’art. 58 del Regolamento 2016/679
(GDPR), per essere emersa una conclamata violazione dell’art. 32 del
GDPR (Sicurezza del trattamento).
Tra le maggiori violazioni alla
normativa in materia di tutela dei dati personali emerse a seguito
degli accertamenti del Garante privacy (Provvedimento del 4 aprile
u.s.) si segnalano le seguenti:
- obsolescenza
di alcune componenti software dei siti web (il distributore del
software Csm in questione non rilascia infatti più aggiornamenti dal
2013);
- a fronte
dell’adozione di un sistema di tracciatura dell’attività compiuta, il
sistema in uso alle Piattaforme non consente di tracciare
adeguatamente gli accessi (lettura e/o modifica) al database da
parte degli Amministratori di Sistema dell’Associazione Rousseau che
possono compiere operazioni, ad esempio, sui dati degli utenti senza
che il loro operato possa essere adeguatamente tracciato., per cui non
è possibile effettuare l’auditing informatico richiesto dal Garante,
esponendo i dati personali presenti sulle Piattaforme a rischi di
violazione elevati;
- le misure
adottate non hanno eliminato la possibilità di alterare , sopprimere o
estrarre copie offline dei risultati delle operazioni di e-voting
sulla piattaforma: in sostanza, non è garantita l’integrità,
l’autenticità e la segretezza delle espressioni di voto
(caratteristiche delle operazioni di e-voting) da parte di coloro che
svolgono la funzione di Data Base Administrator (sul punto il Garante
così si pronuncia “In questo senso sussistono forti perplessità sul
significato da attribuire al termine “certificazione” riferito dal
titolare del trattamento all’intervento del notaio o di
altro soggetto terzo di fiducia in una fase successiva alle operazioni
di voto con lo scopo di asseverare gli esiti […] stante
l’impossibilità di svolgere alcuna significativa verifica sui dati che
sono, per loro natura e modalità di trattamento, tecnicamente
alterabili in pressoché ogni fase del procedimento di votazione e
scrutinio antecedente la c.d. “certificazione”);
- infine,
utilizzo della medesime credenziali di autenticazione assegnate
ad incaricati dotati di elevati privilegi per la gestione delle
piattaforme applicative a supporto dei siti www.movimento5stelle.it e
rousseau.movimento5stelle.it; tale circostanza impedisce di attribuire
le azioni compiute in un sistema informativo ad un determinato
incaricato, con pregiudizio anche per il titolare, privato della
possibilità di controllare l’operato di tali figure tecniche
rilevanti.
Unitamente alla sanzione amministrativa, il Garante privacy ha
assegnato termini ben precisi per l’adeguamento ed il miglioramento
delle piattaforme in questione, ordinando all’ Associazione Movimento
5 stelle, quale titolare del trattamento, e all’Associazione
Rousseau, quale responsabile del trattamento, di procedere altresì con
la valutazione di impatto sulla protezione dei dati con specifico
riferimento alla funzionalità di e-voting delle piattaforme.
Avv. Grazia Quacquarelli, LL. M.
Il
16 marzo 2019 sono entrate in vigore alcune norme contenute nel
D.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 (c.d. “Codice della crisi d'impresa e
dell'insolvenza in attuazione della legge 19 ottobre 2017, n. 155”),
che si compone di 391 articoli (molti dei quali entreranno in vigore
nell’agosto del 2020) e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 38
del 14 febbraio 2019.
Tra le norme in vigore dal 16 marzo u.s. - come puntualmente
indicato dall’art. 389, comma 2, del D.lgs. 14/2019 (di seguito
anche “Codice della Crisi”) – ne segnaliamo alcune più rilevanti e
che modificano il Codice Civile.
A. Art. 375 del Codice della Crisi
Modifica l’art. 2086 del codice civile (e la relativa rubrica),
introducendo un secondo comma che impone all’imprenditore che opera
in forma societaria o collettiva di istituire “un assetto
organizzativo, amministrativo e contabile” adeguato alla natura e
alle dimensioni dell’impresa, “anche in funzione della rilevazione
tempestiva della crisi d’impresa e della perdita della continuità
aziendale”.
Si prevede anche l’obbligo, per l’imprenditore, di attivarsi senza
indugio per l’adozione e per l’attuazione di “uno degli strumenti
previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il
recupero della continuità aziendale”.
Il legislatore ha inteso, quindi, responsabilizzare maggiormente
l’imprenditore, obbligandolo a dotarsi di una struttura interna
adeguata ed idonea a rilevare tempestivamente la crisi d’impresa e,
conseguentemente, ad attivarsi per tentare di recuperare la
continuità aziendale.
B. Art. 377 del Codice della Crisi
Modifica gli artt. 2257, 2380-bis, 2409-novies e 2475 del codice
civile (dettati, rispettivamente, in tema di società semplici,
società per azioni e società a responsabilità limitata), imponendo
l’adozione di assetti organizzativi societari adeguati e ribadendo
che l’amministrazione della società spetta esclusivamente agli
amministratori, i quali compiono le operazioni necessarie per
l’attuazione dell’oggetto sociale.
C. Art. 379 del Codice della Crisi
Modifica l’art. 2477 del codice civile, prevedendo, per le società a
responsabilità limitata, l’obbligo di nominare l’organo di controllo
(sindaco unico o collegio sindacale) o il revisore se:
I.
la società è tenuta alla redazione del bilancio consolidato;
II.
la società controlla una società obbligata alla revisione legale dei
conti;
III.
la società ha superato per due esercizi consecutivi almeno uno dei
seguenti limiti: 1) totale dell’attivo dello stato patrimoniale: 2
milioni di euro; 2) ricavi delle vendite e delle prestazioni: 2
milioni di euro; 3) dipendenti occupati in media durante
l’esercizio: 10 unità.
Secondo quanto previsto dal quinto comma dell’art. 2477 cod. civ.
l’obbligo di nomina dell’organo di controllo o del revisore deve
essere adempiuto, da parte dall’assemblea dei soci, entro 30 giorni
dall’approvazione del bilancio in cui vengono superati i limiti
sopra indicati; in caso di inerzia da parte dell’assemblea, alla
nomina provvede il tribunale, su richiesta di qualsiasi interessato
o “su segnalazione del conservatore del registro delle imprese”
(come introdotto dal Codice della Crisi).
Infine, le società a responsabilità limitata e le società
cooperative - se ricorrono i requisiti di cui all’art. 2477, comma
1, del codice civile – dovranno nominare gli organi di controllo o
il revisore e, se necessario, uniformare l’atto costitutivo e lo
statuto alle novità normative in commento entro nove mesi dalla data
del 16 marzo u.s. (quindi entro il 16 dicembre 2019).
Con
D.L. 87/2008, convertito in Legge n. 96/2018, è stato reintrodotto
il reato di somministrazione fraudolenta (ex art. 38 bis D.lgs.
81/2015) che si configura nei casi in cui “la somministrazione di
lavoro è posta in essere con la specifica finalità di eludere
norme inderogabili di legge o di contratto collettivo applicate al
lavoratore”. La sanzione penale prevista è quella dell’ammenda pari
ad € 20 per ciascun lavoratore, per ciascun giorno di
somministrazione.
L’Ispettorato del Lavoro, con circolare n 3/2019, ha fornito
interessanti indicazioni in merito alle varie declinazioni di tale
ipotesi di reato, che può configurarsi:
- attraverso la figura dell’appalto illecito, volto cioè ad eludere
l’applicazione di norme inderogabili di legge o di CCNL con
conseguente risparmio per il committente sul costo del lavoro;
oppure
- attraverso il coinvolgimento di agenzia per il lavoro, laddove il
datore di lavoro licenzi un proprio dipendente per riutilizzarlo
tramite agenzia di somministrazione, violando le norme di legge o di
CCNL; infine,
- attraverso distacchi transnazionali “non autentici”, nella
misura in cui il distacco sia funzionale all’elusione di
disposizioni dell’ordinamento interno e/o del CCNL applicato dal
committente italiano.
Oltre alle sanzioni di natura pecuniaria, l’Ispettorato del lavoro
dovrà adottare provvedimenti prescrittivi volti, ad esempio,
all’assunzione dei lavoratori alle dirette dipendenze
dell’utilizzatore per tutta la durata del contratto.
L’Ispettorato del lavoro, infine, ha indicato tra gli elementi
a supporto dell’esistenza di una volontà fraudolenta (oltre
all’elusione delle normative inderogabili), la sussistenza di
condizioni di sofferenza economica dell’impresa che potrebbe
assumere rilevanza in considerazione dell’impossibilità di sostenere
i costi del personale, a fronte del fatturato annuo.
In data 16 gennaio 2019 è stata pubblicata in Gazzetta
Ufficiale (GU n. 13 del 16 gennaio 2019) la Legge 9 gennaio 2019, n.
3, recante “Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica
amministrazione, nonche' in materia di prescrizione del reato e in
materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici”, che
entrerà in vigore il 31 gennaio 2019.
Il provvedimento contiene rilevanti novità in tema di
prevenzione e contrasto della corruzione nella Pubblica
Amministrazione e, più in generale, in ambito di diritto penale.
Più precisamente, viene tra l’altro modificato lo spazio edittale
dei delitti di corruzione (le parole “da uno a sei anni” vengono
modificate con “da tre a otto anni”) e appropriazione indebita (le
parole “con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a euro
1.032” sono sostituite da “con la reclusione da due a cinque anni e
con la multa da euro 1.000 a euro 3.000”); per il reato di
corruzione impropria, inoltre, la pena è aumentata da un anno a tre
anni di reclusione (nel minimo) e da sei a otto anni (nel massimo).
Infine, i condannati per reati contro la Pubblica Amministrazione
(tra cui peculato, corruzione e concussione) non potranno più
beneficiare delle pene alternative alla detenzione, come i permessi
premio e l’assegnazione di lavoro esterno. Ogni condanna per tali
reati, ove commessi in danno o a vantaggio di un’attività
imprenditoriale, o comunque in relazione ad essa, comporta – a
titolo di pena accessoria - l’interdizione dai pubblici uffici e
l’incapacità di contrarre con la P.A. L’interdizione e l’incapacità
possono essere perpetue (salvo che per ottenere le prestazioni di un
pubblico servizio) o temporanee, ove la reclusione comminata sia
inferiore a un dato periodo di tempo o ricorrano specifiche
circostanze attenuanti.
Con la legge Anticorruzione viene modificato anche il D.lgs. 8
giugno 2001, n. 231, sia innalzando i termini di durata massima
delle sanzioni interdittive a carico degli enti in conseguenza di
delitti di corruzione, sia introducendo il traffico di influenze
illecite (art. 346 bis c.p.) nel catalogo dei reati presupposto.
Si
segnala un’ interessante sentenza della Corte Suprema di
Cassazione (Cass. Pen., Sez. V, n. 565/2019, depositata in
cancelleria l’8 gennaio 2019) in materia di accesso abusivo a un
sistema informatico.
La vicenda processuale tra origine dal comportamento di un
lavoratore dipendente di una banca che, utilizzando l’account di
posta elettronica aziendale concessogli in uso, ha inviato due
e-mail alla casella di posta elettronica di un collega (privo
dell’autorizzazione a ricevere quei dati specifici), allegando un
file excel contenente informazioni bancarie riservate (nominativi
dei correntisti e saldo di conto corrente), oltre ad inviare altre
due e-mail (di contenuto analogo) che il destinatario ha girato al
proprio indirizzo di posta personale.
La banca, scoperto quanto accaduto, decideva di denunciare i
dipendenti, in considerazione della circostanza che il secondo
dipendente, destinatario delle email e che aveva sollecitato le
stesse, non aveva alcuna credenziale e/o autorizzazione ad accedere
a tali dati; la Corte di appello di Milano, con sentenza del 10
luglio 2017 , confermava la responsabilità (accertata e dichiarata
in primo grado) anche del destinatario delle e-mail, considerandolo
concorrente nel reato previsto e punito all’art. 615 ter c.p.
(“accesso abusivo a un sistema informatico o telematico”). L’apporto
concorsuale dell’imputato, più precisamente, sarebbe consistito
nell’avere istigato il collega a commettere il reato, chiedendogli
di trasmettere i dati di cui sopra, pur non essendo autorizzato a
prenderne visione.
Avverso la pronuncia della Corte di Appello il dipendente ha
proposto ricorso per cassazione, deducendo, tra l’altro, violazione
di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza
del reato di cui all’art. 615 ter cod. pen., sul presupposto che “il
semplice invio di una e-mail da un collega all’altro, tramite la
propria casella di posta elettronica, non possa integrare il profilo
oggettivo del delitto in rassegna”.
La Corte Suprema di Cassazione, tuttavia, ha ritenuto la relativa
censura infondata, ribadendo il principio di diritto contenuto in
Cass. SS.UU. n. 41210 del 18 maggio 2017, secondo cui “è illecito e
abusivo qualsiasi comportamento del dipendente che si ponga in
contrasto con i suddetti doveri [di fedeltà e di lealtà, n.d.a.]
manifestandosi in tal modo la ontologica incompatibilità
dell’accesso al sistema informatico, connaturata ad un utilizzo
dello stesso estraneo alla ratio del conferimento del relativo
potere”.
Ne consegue, pertanto, che anche trattenersi in un sistema
informatico per un tempo maggiore rispetto a quello consentito e/o
per compiere un’attività vietata - ossia la “trasmissione della
lista a soggetto non autorizzato a prenderne cognizione” - configura
la condotta prevista e punita dall’art. 615 ter cod. pen.; come
detto, inoltre, può concorrere nel reato de quo anche il dipendente
che chieda al collega di trasmettergli determinati dati di cui il
primo non è autorizzato a prendere visione.
Sulla Gazzetta Ufficiale Serie Generale n.290 del 14 dicembre 2018 è stato pubblicato il Decreto Legge 14 dicembre 2018, n. 135 “Disposizioni urgenti in materia di sostegno e semplificazione per le imprese e per la pubblica amministrazione” (di seguito “Decreto semplificazioni”), che è entrato in vigore il 15 dicembre 2018. Tra le novità contenute nel Decreto Semplificazioni segnaliamo che, con l’art. 6 del menzionato provvedimento, a far data dal 1° gennaio 2019 è stato soppresso il sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti (SISTRI), previsto dall'articolo 188-ter del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (T.U. ambiente). Conseguentemente, dall’inizio del prossimo anno e fino alla definizione di un nuovo sistema di tracciabilità dei rifiuti - il quale, secondo quanto previsto dal comma 3 dell’art. 6 del Decreto Semplificazioni, sarà organizzato e gestito direttamente dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare -, i soggetti tenuti alla tracciabilità dei rifiuti continueranno ad adempiere ai propri obblighi attraverso i moduli cartacei, compilando i registri di carico e scarico e i formulari di identificazione dei rifiuti.
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